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Pescara, 18/12/2025
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19/04/2013
Il Messaggero
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L’ira di Marini: non rinuncio, Pier Luigi ha sbagliato tutto. Nel giro di contatti e di incontri con Sergio D’Antoni, Beppe Fioroni, Raffaele Bonanni, suoi amici e sostenitori, non ha nascosto il disappunto |
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ROMA «Non rinuncio, non tolgo il disturbo». A sera Franco Marini non ha alcuna intenzione di alzare bandiera bianca. E ha ripetuto più o meno le stesse parole a Pier Luigi Bersani. Al segretario del Pd che, dopo il flop della prima votazione, l’ha chiamato imbarazzato chiedendogli se intendesse rinunciare, Marini ha risposto picche. Non sarà lui a togliere le castagne dal fuoco al segretario democrat che però già parla di «fase nuova». Di «nuova proposta», attraverso delle “primarie” interne. LA LOGICA
«Ho preso 521 voti, la maggioranza assoluta. Il problema non è se Marini si ritira o meno», ha argomentato l’ex segretario della Cisl dopo aver incontrato a palazzo Giustiniani il capogruppo del Pdl, Renato Brunetta, «il problema è che l’intesa sottoscritta dal segretario del partito con Berlusconi e Maroni ha avuto la maggioranza dei grandi elettori del Pd e il 53% del Parlamento in seduta comune. E’ vero che per ora non basta, ma alla quarta votazione consentirebbe l’elezione del nuovo capo dello Stato. In più gli altri contraenti del patto, il Pdl e la Lega, confermano la disponibilità. Ebbene, se le cose stanno così, e stanno così, perché rinnegare l’intesa?!». LO SFOGO
Inutile dire che Marini non ha apprezzato affatto come Bersani si è mosso. «Non ha capito nulla di come si doveva gestire la candidatura», si è sfogato, «Pier Luigi non è riuscito neppure a portarmi i voti degli elettori emiliani. Mi chiedo, se non controlla neppure i suoi, perché mi abbia voluto candidare». In sette parole: «Sono stato vittima di grave insipienza politica». Dure anche le parole dedicate a Matteo Renzi, il guastatore: «Non ha cuore il bene del Paese, ha a cuore solo i suoi interessi». Poi, prendendosela con «certi giornali»: «Sono uno del popolo, venuto dal popolo. Siccome non appartengono a una delle grandi famiglie della borghesia di sinistra, mi impallinano. Che tristezza...». «ERRORI IMPERDONABILI»
Per Marini, abruzzese risoluto e testardo, è una questione di principio. Non di poltrona. Nel giro di contatti e di incontri con Sergio D’Antoni, Beppe Fioroni, Raffaele Bonanni, suoi amici e sostenitori, non ha nascosto il disappunto. Non ha gradito essere considerato «la bandiera dell’inciucio». Non ha apprezzato affatto le manifestazioni davanti Montecitorio dei militanti del Pd che chiedevano ai parlamentari di non votarlo. «Sono stati compiuti gravi errori di comunicazione», ha confidato, «sono stato fatto passare come il candidato della vecchia politica, del patto scellerato con Berlusconi. Non è stato chiarito all’opinione pubblica il valore di una candidatura condivisa per la pacificazione del Paese. Qui siamo davanti a una dimostrazione palese di incapacità. Si è giocato sulla mia pelle». UNA GIORNATA AMARA
Parole amare di una giornata amara. Ma già in mattinata, mentre si procedeva alla prima votazione, Marini aveva fiutato il disastro. «Se c’è il mal di pancia fisiologico di qualsiasi elezione di un capo dello Stato, si riassorbe. Se invece esiste una trama alternativa alla linea del partito, ne uscirò sconfitto». E così è stato. I numeri sono stati impietosi. Chiuso per l’intera giornata nel suo studio di palazzo Giustiniani, la tv sintonizzata sulla diretta di Montecitorio che inquadrava deputati e senatori impegnati a votare, Marini ha studiato con attenzione i dati della prima votazione. 521 voti, 151 in meno del quorum necessario, ma soprattutto 224 in meno di quanto avrebbe dovuto avere sulla carta sommando i grandi elettori di Pd, Pdl, Lega, Scelta civica. 224 franchi tiratori: un esercito. Per dirla con Fioroni: «Le larghe intese sono state bruciate». E con loro probabilmente anche Marini. Ma, si diceva, al momento l’ex capo della Cisl non molla. «A Bersani non faccio favori». Uscendo poco prima nove del mattino dalla sua casa ai Parioli, il “presidente in pectore” aveva detto: «La vita è dura e anche questa sarà una battaglia dura». E puntando l’indice sul problema dei problemi: «Il mio augurio è che il mio partito possa ritrovare una forte unità. Scissione?! Ma quale scissione!». Poi, quasi a voler sfidare chi l’accusa di essere espressione della vecchia politica: «Questa mattina Ciriaco De Mita, il vecchio De Mita, mi ha telefonato e mi ha fatto molto piacere». Come dire: non mi vergogno di ciò che sono, la vecchia politica non è tutta da buttar via. E ai deputati abruzzesi che lo chiamavo per avere lumi: «Sono in corsa e me la gioco fino in fondo». Oggi si vedrà.
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