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Data: 19/04/2013
Testata giornalistica: Il Tempo d'Abruzzo
L’uomo dell’equilibrio ha diviso. Il sogno di un presidente abruzzese svanisce alla prima chiamata Franco Marini per la seconda volta non riesce a scalare il Colle

PESCARA Chi da queste parti lo conosce bene sa che Franco Marini ha sempre avuto un chiodo fisso: «Raggiungere un punto di equilibrio». È la sua storia politica e la sua natura che ne fanno un grande mediatore di scuola democristiana, formato da Giulio Pastore prima e da Carlo Donat-Cattin dopo. Pur decollando a livello nazionale nelle politiche del 1992, risultando il primo degli eletti in Italia nelle liste dello scudocrociato, l’Abruzzo è sempre stato il suo serbatoio di voti e la palestra dove muoversi con grande abilità, cucendo trame e rapporti, ma soprattuto dove riuscire a incidere, di volta in volta, sulle scelte amministrative e strategiche della sua regione. Chi da questa parti lo conosce bene, pensando alla sua elezione alla presidenza della Repubblica, già immaginava di ascoltare Franco Marini, nel suo discorso di insediamento, nel ruolo di pacificatore nazionale. Un po’ come avvenne nell’aprile del 2006 quando fu scelto come numero uno del Senato: «Sarò il presidente di tutti - disse a palazzo Madama - e in dialogo fermo e mai abbandonato sarò il presidente di tutti voi con grande attenzione e rispetto per le prerogative della maggioranza e per quelle dell’opposizione come deve essere in una vera democrazia bipolare». L’uomo dell’equilibrio, rieccolo. Scelto da Bersani e Berlusconi per far coincidere l’impossibile. Nella sua terra gli è riuscito quasi sempre: chi non ricorda quando nel 2005, pur sapendo che il suo pupillo Luciano D’Alfonso era già pronto a lasciare la sua fascia da sindaco di Pescara per sfidare Giovanni Pace alle regionali, decise invece di far arrivare da Roma un suo vecchio amico, un altro sindacalista abruzzese, Ottaviano Del Turco da Collelongo, bloccando di fatto la candidatura di D’Alfonso e lanciando un socialista alla guida dell’Emiclo aquilano. Fu sempre lui, Franco Marini, l’uomo dell’equilibrio, che, partecipando alla fondazione del Partito Democratico, riuscì in Abruzzo a mediare tra il governatore Del Turco e il sindaco D’Alfonso, riuscendo poi a imporre come segretario regionale a tutte le componenti del Pd il suo pupillo Luciano. Diavolo d’un Marini, sempre pronto a conciliare, unire, mettere tutti d’accordo. Chi da questa parti lo conosce bene ricorda che dopo la caduta del governo Prodi II, e nonostante il suo iniziale no ad assumere altri incarichi, alla fine del gennaio 2008 il presidente Napolitano chiamo lui, Franco Marini, per cercare di verificare, entro poco tempo, la possibilità di trovare un acccordo tra maggioranza e opposizione su una riforma della legge elettorale e su un governo che potesse prendere le decisioni più urgenti. Marini accettò, ma dopo quattro giorni gettò la spugna, rimettendo l’incarico nelle mani del presidente Napolitano, «con molto rammarico - disse - per l’impossibilità di raggiungere l’obiettivo di trovare una maggioranza per modificare in pochi mesi la legge elettorale». Uomo ostinato e duro, come solo un alpino e un abruzzese può essere. Seppur da dietro le quinte non ha fatto poi mancare il sostegno alla sua terra martoriata dal terremoto, quasi da pensionato della politica ma da saggio ed esperto amministratore della cosa pubblica e fine conoscitore della macchina dello Stato. Chi da queste parti lo conosce bene aveva intuito benissimo che, non facendo mancare il suo sostegno da Roma alla Marina pescarese bloccata dal mancato dragaggio, Franco Marini non aveva nessuna intenzione di andar e in pensione. Anzi. Pur avendo sostenuto Franceschini nelle primari del Partito Democratico del 2009, è riuscito qualche mese fa a ottenere un’ ulteriore deroga da Bersani, riuscendo a farsi candidare nella lista del senato nel suo Abruzzo. Numero due dopo Stefania Pezzopane. Poi il risultato a sorpresa delle urne e la sua mancata elezione, come quella della deputata marsicana Paola Concia, che in un rigurgito di rabbia indicò proprio nell’ex presidente del Senato la causa principale della sconfitta del Pd in Abruzzo. Alle parole al veleno della Concia, «ma come potevano votarci con lui in lista», mai una risposta da Franco Marini. In silenzio anche di fronte alle bordate del rottamatore Matteo Renzi, pronto a colpirlo quando il suo nome era apparso tra i papabili per il Quirinale. Non una parola, non una polemica, così come avevo appreso dai suoi antichi maestri. Chissà se Franco Marini ieri mattina, a poche ore della prima chiama, aveva letto ciò che il suo vecchio amico Ottaviano Del Turco, ora alle prese con il processo Sanitopoli, scriveva sul suo profilo Facebook: «Tra qualche ora sapremo se Marini sarà il prossimo Presidente della Repubblica o se siamo entrati drammaticamemte dentro l’età dei Chance, il giardiniere, intepretato da Peter Sellers nel film Oltre il giardino. Ricordate? A forza di rispondere a domande complicate con ..mi rendo conto...fu scelto per essere candidato alla presidenza degli Stati Uniti. Un vero capolavoro, meglio una Profezia drammatica. Così è stato: l’uomo dell’equlibrio questa volta ha diviso, mai come nessuno prima. Come se la mediazione fosse cosa d’altri tempi. Di un’epoca che mai più tornerà.

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