PESCARA E’ furibondo, Franco Marini, chiuso nel suo studio a Palazzo Giustiniani. Si interroga sulle ragioni del fallimento, si tormenta come l’anziano Simòn Bolìvar chiuso nel suo labirinto dall’immaginazione di Gabriel Garcìa Marquez. Aveva fatto i conti con l’abituale pignoleria, il lìder Franco, e dai conti era venuto fuori un numero che l’avrebbe posto al riparo da sorprese, che l’avrebbe portato fin sul Colle. Che rivincita, dopo le elezioni del doppio smacco (prima posposto a Stefania Pezzopane nella lista abruzzese del Pd per il Senato, poi neanche eletto), che traguardo per il figlio di una famiglia di umili origini, per l’uomo di San Pio delle Camere. Aveva fatto i conti, non poteva sbagliare.
Ci credeva, Marini, nella vittoria. Credeva nei suoi conti. E credeva in Pierluigi Bersani: sì, l’aveva visto troppo ondivago delle ultime settimane ma ora Bersani, il segretario del suo partito, l’aveva esibito come la scelta perfetta, il mediatore supremo, il vincitore. Invece Bersani non è stato in grado di portargli neanche i voti della sua Emilia. L’Emilia gli ha voltato, compatta, le spalle. Da Matteo Renzi non s’aspettava nulla, Marini, ma dalle truppe emiliane che credeva fedeli a Bersani sì che s’aspettava, e molto. Invece niente, zero, neanche un voto. Una trappola.
E’ furibondo, Marini. All’esterno nulla trapela, non deve trapelare. Tranne una frase: «Non mi ritiro». Chiuso nel suo studio risponde al telefono a pochissimi e malvolentieri, e se risponde sono parole di fuoco. Non finisce qui, promette, non può finire qui. Lo promette ai fedelissimi, alla sua pattuglia abruzzese cui viene concesso di superare il blocco che lo protegge nel giorno della grande delusione. Non finisce qui, nel Pd la frattura tra ex-Popolari ed ex-Ds è aperta e lui non lascerà che si ricomponga tanto in fretta, non vuole: specie dopo essere diventato il bersaglio delle grandi famiglie della sinistra principalmente capitolina, di quell’élite altoborghese che aveva martellato con crudezza, nel giorno della vigilia e nelle ore immediatamente precedenti la «prima chiama» a Montecitorio, sull’inadeguatezza del «lupo marsicano» (così continuano a chiamarlo, hai voglia a spiegare che San Pio non è Marsica) nell’ascesa al Colle. Scadente pedigree, propensione più alle tavolate plebee che alle cene placée dei salotti felpati, stratega autodidatta: meglio di no, meglio a casa, chi non sa stare a tempo prego andare.
E Marini è andato. Incontro al naufragio. «Non mi ritiro», ruggisce il generale dal suo labirinto. Figurarsi se si ritira, con quel carattere. Continua a fare i conti e non si arrende: stasera, alla quarta «chiama», quei conti potrebbero bastare. Ma non ci sarà, per lui, una quarta «chiama». Solo un miracolo di San Pio potrebbe riportarlo in gioco ma lui, il Franco cattolico, ai miracoli laicamente non crede.