Poi confessa: «Non ho capito la risposta». Mentre in aula si consumano le vendette incrociate dei franchi tiratori, fuori il palazzo è assediato da destra e indignados
Unanimità di senatori e deputati per il simbolo della riscossa del partito lanciato gloriosamente verso la conquista del Colle. E siamo all’ora di colazione. Scena due, poche ore più tardi: la carica dei 101 del Pd, che come gli altri hanno appena finito il battimani per la candidatura del Professore, impallina Prodi con il fuoco amico e seppellisce il partito bersaniano in un’orgia di nichilismo. Chi sono i franchi tiratori ribellatisi a Bersani? Sono quelli che non ci dovevano essere e infatti, mentre comincia la votazione e il Palazzo è assediato dall’esterno da ogni tipo di manifestazione di indignados e agit prop di destra e di sinistra e c’è chi affetta la mortadella, Andrea Orlando, uno dei leader dei Giovani turchi, gira per il Transatlantico rassicurando tutti: «A Prodi mancano solo due voti per farcela». Che cosa saranno mai due voti? Niente, se non fossero 101. Quelli sufficienti a trasformare, prima di cena, la zona della Camera che si chiama Corea - e il Pd calcisticamente parlando ieri ha avuto la sua Corea come la nazionale nel ’66 quando Pak Doo Ik affondò l’Italia, anche se il ct non si chiamava Pier Luigi - nell’accampamento di un esercito in rotta, dove si vedono i pretoriani pentiti di Bersani semi-accasciati fuori dalla porta della stanza del segretario. E dentro, c’è lui che telefona a Prodi.
PIANGE IL TELEFONO
«Romano, che cosa vuoi fare: resti in campo? Io direi proprio di sì», balbetta Bersani con la voce strozzata dalla disperazione. Conversano cinque minuti, poi Pier Luigi abbassa la cornetta e confida ai presenti: «Non ho mica capito che cosa vuol fare». Neanche Prodi ha capito che cosa gli ha chiesto Bersani che non sembra più lui. Pier Luigi lo richiama: «Allora, Romano?». Riabbassa dopo poco. «Ancora non ho capito». Parte l’idea: «Facciamolo chiamare da Franceschini, magari loro due s’intendono meglio». Dario lo chiama, e Prodi dice che non vuole più saperne di loro. Ma resta un’altra carta: «Lo potrebbe chiamare D’Alema. Ma dov’è D’Alema?». Boh. Invece, nei paraggi, c’è Maria Stella Gelmini che, essendo stata ministro dell’Istruzione, si concede una citazione alta ma piuttosto usurata: «Prima Marini, poi Prodi, il Pd come Crono uccide tutti i suoi figli». O i suoi padri?
Fuori, in piazza, intanto continua a girare l’affettatrice della mortadella azionata da quelli di Casa Pound. E’ quasi scontro fisico tra i supporter di Rodotà e i fratelli d’Italia anti-Prodi. Quelli gridano «per voi la politica è solo un panino perchè Berlusconi è il vostro padrino» e questi addentano le «ciriole con la mortazza» gridando «Prodi vattene». Quando da Montecitorio esce Alessandra Mussolini che indossa la t-shirt con su scritto «Il diavolo veste Prodi», la goduria da carnevale politico diventa irrefrenabile. E i franchi tiratori del Pd? E’ caccia è aperta lungo i corridoi della Camera. Qualcuno confessa. «Io l’ho detto subito da stamattina: Prodi non lo voto», racconta Dario Ginefra, ex popolare. E gli altri cento? Beppe Fioroni, prototipo del democrat cui ancora fa male l’affossamento di Marini, dopo la sparatoria osserva senza scomporsi: «Mi immaginavo qualche voto in dissenso, ma 101 sono un po’ troppi. Bisogna fare una riflessione». Quella del socialista Nencini sembra presa da «Pulp fiction»: «Se c’è un regolamento di conti, non lo fermi subito. Prima si deve compiere tutto il massacro e poi il sangue finisce». Ma siamo sicuri che mai finirà? Ed è sanguinolenta oppure no - la prima che hai detto - la scelta di dover rinunciare, da oggi in poi, per il Pd che è il partito più grande, a indicare un proprio esponente per il Colle e a convergere sulla Cancellieri o su Rodotà compiendo l’ennesima confusione tra rottura o ricucitura con il centrodestra e rottura o ricucitura con il grillini? «Ma tanto - ironizza il deputato berlusconiano Luca D’Alessandro - domani non si vota: dobbiamo andare tutti ai funerali del Pd». Gasperri e Minzolini ballano di gioia. Gli altri del Pdl intonano coretti di giubilo per la spallata ricevuta dall’ex premier, senza loro abbiano avuto bisogno di usare la spalla. Il democrat Matteo Orfini non si dà pace: «Fa schifo che al mattino si vota tutti insieme appassionatamente per Prodi, nella nostra riunione dei parlamentari, e poi in aula si fanno gli agguati più inverecondi».
I COLTELLI
A tendere la trappola a Prodi è un variegato e ben assortito gruppo di fuoco amico. Gente che odia il Professore («E’ vendicativo e prepotente»); dalemiani (ma davvero, visto che il comandante Max si sarebbe speso per spargere buonismo tra le sue truppe, oltretutto molto risicate?) che impallinano chiunque pur di arrivare a Baffino; tifosi di Marini ancora gonfi di rabbia (nonostante Prodi abbia avuto più franchi tiratori di lui); nemici di Renzi che vedono nel successo di Prodi il trampolino per Renzi. Dunque? I bersaniani, in mezzo al Transatlantico che dopo cena si va svuotando ma conserva tutte le sue ombre e le scie di sangue dei «Pugnalatori» manco fossimo nel racconto di Leonardo Sciascia parlano di «complotto organizzato da D’Alema e da Renzi, quelli del patto di Firenze». Le prove di questa congiura? Uno dei più stretti collaboratori del segretario dice di averne trovata una: «Subito dopo il voto, i renziani sono spariti». In realtà ne girano ancora tanti in Transatlantico. Uno di loro, un big, Angelo Rughetti: «Danno la colpa a noi, ma la colpa è loro. Hanno affossato Prodi per dare un messaggio a noi: non vi daremo mai la ditta». Quelli di Sel si chiamano fuori dalla guerra tribale. Per far riconoscere i loro 44 voti hanno scritto sulla scheda «Romano Prodi», nome e cognome per esteso. Così nessuno poteva poi accusarli di avere fatto i franchi tiratori». Il Pd non ha avuto questa idea. E deve subire, ma a questo punto è il minimo, gli sfottò dei berluscones: «Non tutti i Mali vengono per nuocere». Il democrat Civati ride amaro: «Perchè non chiamiamo Napolitano e gli supplichiamo una prorogatio?». Perchè, forse, non risponderebbe neppure al telefono a questo Pd che - ironia della storia - discende da quel Pci che aveva fatto della politica come professionalità il suo maggiore motivo di vanto.