Il costituzionalista disposto a ritirarsi, i grillini però lo frenano
Offerta al Pd: «Con lui al Colle, praterie per l’esecutivo»
ROMA L’immagine sintesi della giornata grillina è l’urlo che i Cinque stellati lasciano sulla segreteria telefonica di Stefano Rodotà. È una cosa da stadio ma sui 162 neoletti ha lo stesso effetto che la danza maori ha per gli All blacks neozelandesi. Il moVimento che sbatte la porta in faccia a Prodi e al Pd. La pattuglia parlamentare che fa quadrato intorno alla candidatura dell’ex garante, «il candidato al Colle di garanzia» espresso dal voto online.
Il fatto nuovo, se proprio vogliamo, è che ora, senza sedersi a un tavolo a trattare, Beppe Grillo fa quello che secondo qualcuno dei suoi avrebbe dovuto fare prima. Chiede al Pd, o meglio a ciò che resta dei democrat, di virare la prua e far rotta su Rodotà. È l’unica via d’uscita che l’ex comico offre al partito di Bersani, una sorta di «bonus» da spendere per la formazione del prossimo esecutivo. Qualcuno tra i Cinque stellati - il deputato Girolamo Pisano, ad esempio - aveva lasciato intendere giovedì sera, alla fine della prima tornata, che se fosse arrivata un’indicazione chiara del «capo», anche soltanto un post, avrebbe votato il professore. Il problema in realtà non s’è posto. Già di primo mattino Grillo aveva chiarito che «nessuno nel M5S si è mai sognato di votare Prodi e non se lo sognerà nemmeno in futuro». Tanto che a questo punto è legittimo chiedersi come abbia fatto l’ex presidente della Commissione Ue ad arrivare nono alle Qurinarie visto che nessuno dei circa 48 mila elettori grillini si è fatto avanti per dire «sì, io l’ho votato.
LA FIGLIA GIORNALISTA
Dalle nave già inclinata del Pd a un certo punto qualcuno non meglio identificato deve aver lanciato il may day may day. E si è sfiorato l’assurdo. Rodotà ha ricevuto pressioni perché ritirasse la candidatura. La giornalista Maria Laura ha raccontato di essere stata contattata per convincere il padre. Il giurista ne ha parlato con Crimi e Lombardi. Quindi Rodotà ha dettato un comunicato nel quale si era detto disponibile a farsi da parte per non creare ostacoli al M5S. È il punto da cui siamo partiti: l’urlo filmato in cui i parlamentari acclamavano Rodotà.
Il pallino ora è nelle mani grilline. Roberto Fico, deputato campano, può persino fare la voce grossa e avvertire il Pd, «ci ripensi o corre al massacro». E se Fico solitamente cauto, si esprime con modi così risoluti figuriamoci Grillo. In collegamento telefonico con Treviso come un cowboy il leader conta i buchi sulla sua cintura: «Abbiamo mandato a casa 5 partiti in due mesi; sono spariti, Udc, Fli e Di Pietro, fra poco si rompe anche il Pd e poi seguirà il Pdl. E pensare che mi ero iscritto al Pd, volevo andare al loro congresso, dopo il V-Day». Ed ecco l’urlo: «Bersani si deve dimettere!».
IL PROF UMILIATO
«Rosy Bindi ha dato le dimissioni, Prodi è stato umiliato - rivendica Grillo - ora dobbiamo aprire il parlamento. Le prime cose da fare sono l'introduzione del reddito di cittadinanza e gli aiuti alle Pmi». C’è tempo infine per una stoccata, una delle tante riservate ai giornalisti: «Mi odiano perché voglio cancellare l’Albo ma essere odiati da questi qui è un piacere».