D’Alema e Amato indisponibili, Bersani sente Berlusconi e Monti per il Quirinale. Il Cavaliere: più lontano il voto a giugno racconterò in un libro come lo ho convinto
IL RETROSCENA
ROMA «Non credo di essere il vincitore, ma non è stato facile», ma «come ho convinto Napolitano ad accettare un nuovo mandato lo scriverò nel libro di memorie». Silvio Berlusconi esce dal suo studio di Montecitorio per partecipare alla proclamazione in aula dell’avvenuta rielezione di Giorgio Napolitano e scambia poche parole con il cronista. In mattinata, accompagnato da Gianni Letta e Angelino Alfano, il Cavaliere è stato a colloquio con il Capo dello Stato dal quale ha appreso la disponibilità, negata sino al giorno prima, di un secondo mandato presidenziale.
VACANZE
Berlusconi nega si sia affrontato il nodo del governo, ma quando gli si chiede se ritiene probabili le elezioni a giugno, replica con un cauto ma eloquente «direi di no». «Aspettiamo, tanto non vorrete mica iniziare le vacanze così presto!». Non ci sono all’orizzonte ferie e ponti per i leader delle tre forze politiche, Pd, Pdl e Scelta Civica, che dovranno già martedì mettersi intorno ad un tavolo e condividere con il Presidente l’esigenza di dare al Paese un governo già forse nella prossima settimana. Il «decido io» rappresenta una sintesi efficace della volontà del Capo dello Stato di non ritrovarsi di nuovo a svolgere consultazioni estenuanti e ricche di veti. «Non abbiamo parlato di governo», dichiarano sia Bersani che Berlusconi. Forse perché non ce ne era nemmeno bisogno, tanto è stato faticoso da parte del Capo dello Stato pronunciare quel «sì» negato tante volte e ribadito in una lettera, datata ieri l’altro, che lo stesso Napolitano ha inviato all’ex deputato Gustavo Selva che gli chiedeva di «fare un sacrificio per il Paese». «L’invito a svolgere un secondo mandato non era da me ricevibile per ragioni di principio, per la concezione che ho della figura del Presidente della Repubblica secondo Costituzione e della conseguente irripetibilità di un già lungo mandato settennale». Così scriveva Napolitano prima di assistere allo spettacolo di un Parlamento e di un partito, il Pd, che brucia in maniera irridente e caotica un ex presidente del Senato come (Marini) ed un ex premier ed ex presidente della Commissione Europea (Prodi).
«Nella scorsa notte ci sono stati contatti con le altre forze politiche, ma non è stata trovata una soluzione», spiegava ieri pomeriggio Pier Luigi Bersani poco prima della sesta e decisiva votazione. Ma la vera «impasse», di cui parla il segretario del Pd, era avvenuta nel suo partito perché dopo aver bruciato in malo modo la candidatura di Prodi, non ha trovato la disponibilità nè di D’Alema nè di Amato a tentare «l’azzardo» in aula.
LUNGA NOTTE
E’ notte quando Bersani, appena dimessosi da segretario, prende atto che il Pd non regge altro che il nome di Napolitano, ma che «occorre andare tutti al Quirinale senza se e senza ma». Berlusconi ci sta senza le esitazioni di Monti che ritiene l’eventuale bis «una sconfitta della politica». Forse lo è, o forse - come sostiene qualcuno - pesano le ruggini tra l’attuale presidente del Consiglio e l’inquilino del Colle che continua ad interrogarsi sul perché della discesa dell’ex commissario europeo nell’agone politico. La stanchezza e l’amarezza delle ultime ore, che poi lo porteranno alle lacrime, spingono Bersani a rompere ogni indugio. Alle undici il segretario del Pd sale da solo al Colle. Dopo mezz’ora tocca a Berlusconi e poi a Monti. Trenta minuti di colloquio ciascuno nel quale si limita a constatare la situazione di stallo insistendo molto sul lavoro svolto dai saggi e sulla necessità di porre fine alla guerra fredda tra i partiti. In quelle paginette, che Napolitano pensava di riservare al suo successore, c’è una sorta di programma minimo di governo. Il Cavaliere è euforico e insieme a lui Alfano che boccia con un’espressione a dir poco colorita la decisione dei cugini-Fratelli d’Italia di non votare per il bis.
CONDIZIONI
Resta il fatto che nessuno dei tre leader di Pd, Pdl e SCivica, si tira indietro. «Stavolta decide il Capo dello Stato - chiosa uno dei saggi - e se qualcuno si metterà di nuovo di traverso, potrà agitare non solo lo spettro delle elezioni, ma anche delle sue dimissioni». Messaggio chiaro rivolto al Pd che rischierebbe, dopo l’eventuale voto a giugno, di trovarsi con Berlusconi al Quirinale, ma anche a quella parte del centrodestra che non vuole il governo di larghe intese e che, soprattutto, teme la riforma della legge elettorale che da martedì sarà il primo punto di programma del nuovo governo.