PESCARA Alla fine tutti aggrappati allo scoglio Napolitano, ma nel Pd abruzzese è ormai il caos dopo quello che è accaduto sul voto per il Quirinale. Una spaccatura destinata a trascinarsi probabilmente fino al prossimo congresso regionale, anche se il precipitare degli eventi potrebbe anticipare la resa dei conti tra i mariniani e l'ala del partito vicina a Stefano Rodotà, quella che ha sconfessato apertamente la linea dell'ormai ex segretario Bersani. Ieri la senatrice Stefania Pezzopane ne ha avute per tutti: dai compagni di partito Camillo D'Alessandro e Tommaso Ginoble, a Bruno Vespa per il trattamento che il conduttore gli aveva riservato la sera prima durante la trasmissione Porta a Porta; ai parlamentari del Pdl Antonio Razzi e Paola Pelino che avevano stigmatizzato con ironia il suo no alla candidatura di Franco Marini: «Uno strano quartetto D'Alessandro, Ginoble, Razzi e Pelino -ha incalzato la Pezzopane -. Cosa li accomuna? Solo le critiche e gli insulti nei miei confronti». Per la senatrice aquilana è una vergogna assoluta accusarla di tradimento: «Non stavamo eleggendo un rappresentante dell'Abruzzo, ma il presidente della Repubblica, e lo stavamo eleggendo con un accordo preventivo con Berlusconi, rompendo il patto elettorale col centrosinistra, che votava altri candidati».
La stoccata all'aquilano Bruno Vespa non si fa attendere. Vespa ha citato la lettera scritta di venerdì in cui la Pezzopane non si sentiva in debito con Marini: «Ha torto - ha spiegato il conduttore - visto che Enrico Letta alla presentazione delle liste elettorali ha voluto ringraziare solo una persona, Franco Marini. Questa è la verità storica». La Pezzopane replica: «Ricostruzione falsa. Non sono stata eletta perché Marini ha fatto un passo indietro ma per aver vinto le primarie nella mia città, dove tra l'altro il Pd ha ottenuto un grandissimo risultato». Il Pd aquilano la appoggia in tempo reale: «Scelta corretta la sua».
Di ben altro avviso il deputato Giovanni Legnini che sembra invitare ad una maggiore disciplina di partito: «Ho votato Franco Marini per la sua coerenza, rigore e capacità di rappresentare l'unità nazionale, e poi Romano Prodi proposto all'unanimità dal Pd, perché non si ammazza il padre e perché l'Italia sarebbe stata più forte in Europa e nel mondo. Avrei votato Rodotà - chiarisce Legnini - se lo avesse proposto il mio partito e capisco perché fino ad oggi non lo ha fatto: quirinarie, comizi di Grillo, candidatura urlata e non condivisa con metodo democratico e dialogante, rifiuto persino di non sedersi per parlarne. E non sto esagerando».
Poi c'è Camillo D'Alessandro, che cede allo sconforto: «Ho visto cose incredibili, gente che applaude la mattina e tradisce il pomeriggio. Questa classe dirigente non merita la passione e il dolore di chi li ha mandati ad essere classe dirigente del partito e del paese». Uno stato d'animo condiviso anche dalla deputata Vittoria D'Incecco: «Chi ha tradito ha gettato fango su due personalità di grande valore come l'ex presidente del Senato Franco Marini e l'ex premier Romano Prodi». Sceglie invece la prudenza Luciano D'Alfonso, un altro big del Pd abruzzese: «E' un momento troppo delicato per fare riflessioni sui comportamenti dei singoli, ci saranno tempi e luoghi per affrontare un dibattito sereno. Ora la priorità è l'interesse del Paese». Curiosi anche gli striscioni apparsi sui balconi nella sede della Federazione del Pd a Teramo dopo le dimissioni di Bersani: «Mo avast, o con noi o senza di noi». L'esasperazione appesa a un filo.