ROMA La vita di Luigi «Gino» Preiti, l’uomo finito con la faccia sull’asfalto di Piazza Colonna, è un cumulo di macerie. Macerie vere, accatastatesi su di lui in questi anni di crisi economica, di lavoro che non c’è, dei pochi soldi che non bastano più neanche per la Comunione di tuo figlio, ma anche fallimenti suoi, personalissimi, paurosi sbandamenti, consumati davanti alla macchinette del videopoker o in qualche fumosa sala di biliardo, come al Sud ne esistono ancora.
«Non avevo niente da perdere» ha detto questo muratore calabrese con il vestito della festa al primo magistrato che è andato a interrogarlo. E purtroppo, mai come nel suo caso, era vero. Sconfitto su troppi fronti, troppi per un uomo solo, aveva anzi deciso che domenica 28 aprile sarebbe stato l’ultimo giorno della sua vita, ma ha fallito anche qui: gli è venuto a mancare l’ultimo colpo in canna.
UN UOMO AL CAPOLINEA
Ha solo 49 anni, questo Gino Preiti, ma deve essere invecchiato fin troppo presto, deve aver bruciato senza costrutto speranze ed energie al punto da considerarsi già al capolinea. Chissà da quanto tempo era ormai prigioniero di una disperazione allo stato puro, e infatti ammette: «Avevo previsto tutto, venti giorni fa». Come se volesse dire: non andate dietro alle date della politica, questo è il mio dramma. Comincia a Rosarno la storia di Preiti, nella piana lussureggiante di aranceti rimasta famosa per la rivolta degli immigrati.
Comincia in una casa modesta ma dignitosa. Il papà Angelo, emigrato per 30 anni in Germania, la mamma Polsina in casa ad allevare i quattro figli, Gino e Arcangelo e due sorelle. Una famiglia sfiorata dalla ’ndrangheta? Se lo stanno chiedendo in queste ore gli investigatori, stanno rileggendo vecchi rapporti, hanno scoperto qualche segnalazione relativa a loro parenti, parenti dei Preiti, visti «in compagnia» di boss della zona come i Pesce e i Bellocco. Poco, ma non abbastanza poco da abbandonare queste tracce, da fugare il sospetto che qualcuno, dalla Calabria, possa aver aiutato Gino Preiti. Più o meno vent’anni fa, comunque, i due maschi decidono di venir via, si vanno a stabilire in provincia di Alessandria, Arcangelo a Novi Ligure e Gino a Predosa.
I RISPARMI BRUCIATI
Gino fa quello che sa fare, il muratore. E se la cava bene, almeno a sentire oggi i paesani. Sarà che si parla bene di tutti dopo l’ultimo sconvolgente fatto di cronaca, ma non c’è uno che se la senta di puntare il dito con Preiti. Maria Pisani meno che mai: «Non era un violento. Lo ricordo, piuttosto, come una persona squisita». Le fa eco il fratello Arcangelo da Novi Ligure: «Chiedo scusa a tutta l’Italia per lui, ma credetemi: non aveva problemi pschici». Una persona «squisita» che comincia a perdere la bussola. Sbaglia il prima matrimonio, ma per fortuna non ci sono figli e può ricominciare.
Sbaglia anche il secondo, però, e Ivana, che pure con tanto entusiasmo aveva ricominciato con lui, due anni fa decide di lasciarlo. Se ne va ad abitare con il figlio che hanno messo al mondo, un ragazzino che oggi ha 11 anni, e con il conto in banca prosciugato. Gino non solo ha perso il lavoro, ma s’è giocato tutto. Comincia qui la sua discesa veloce verso l’inferno. Il passo successivo è il più doloroso. Gino Preiti deve tornare a casa, a Rosarno, perché non ha più di che vivere. Millecentottantasette chilometri che sono il suo calvario: il fallimento, così, è plasticamente sancito. Ma neanche lì, in Calabria, in queste ore drammatiche ne parlano male. Il sindaco Elisabetta Tripodi per tutti: «Mai dati segni di disagio». Ma intanto la rabbia gli consuma l’anima: il lavoro a Rosarno non c’è, s’arrangia con qualche impiego saltuario e d’estate s’adatta a cantare nelle balere.
UN VICOLO CIECO
E ogni tanto scappa. Dice ai suoi che va a cercare lavoro ovunque ci sia, in giro per l’Italia. Ma torna sempre a casa, più cupo che mai, a rificcarsi in un vicolo cieco senza scampo. Tira fuori da un cassetto, allora, quella Beretta calibro 7,65 che sostiene di aver comprato addirittura quattro anni fa al «mercato nero di Alessandria» (anche se qualche dubbio resta, questo è uno dei passaggi meno chiari del suo racconto). E comincia ad architettare il suo piano. Fino all’altra sera, quando si mette al volante della vecchia Peugeot e arriva alla stazione di Gioia Tauro.
La parcheggia lì e aspetta il treno per Roma, la sua ultima tappa.