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Pescara, 18/12/2025
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05/05/2013
Il Messaggero
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Convenzione, Maroni: governo in pericolo. Il governatore lombardo: se non parte entro giugno meglio tornare al voto, siamo molto interessati ma anche preoccupati |
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MILANO Ora ci si mette anche la Lega Nord a complicare il cammino della bicameralona: «Se entro giugno non parte, noi ci chiameremo fuori» dice Bobo Maroni. Ma più che una minaccia è una cupa previsione: «Sulla Convenzione per le riforme il governo rischia, e sono preoccupato». Sostiene che bisogna fare in fretta, che l’accordo va trovato, che le liti su chi la deve presiedere devono essere accantonate: «Altrimenti meglio per tutti andare al voto. Noi sul governo ci siamo astenuti, ma senza riforme passiamo all’opposizione». Il grido d’allarme di Maroni è più che altro una presa d’atto: Pd e Pdl sono già a ferri corti sulla questione della supercommissione che dovrebbe studiare le modifiche costituzionali. E per sovraprezzo, anche all’interno dello stesso Partito Democratico i mugungni «sul metodo» stanno diventando rumori di guerra. C’è chi giudica la Convenzione inutile, pericolosa, foriera di cattivi presagi. E c’è chi la vede come l’ennesima trappola allestita da Berlusconi per alzare il prezzo con i compagni di maggioranza. IL PD INSISTE: NO AL CAV
Lo scontro più visibile è proprio quello sul nome del Cavaliere. Due giorni fa si è proposto come presidente del parlamentino (con aggiunta di esterni) che dovrebbe mettere in cantiere le riforme. Dal Pd si è immediatamente levato il fuoco di sbarramento. Prima Fassina e poi Renzi: «Non ha la statura di un padre costituente». Dal Pdl hanno risposto battendo il pugno: «Nessun veto su di lui, altrimenti salta tutto». Minaccia caduta nel vuoto visto che anche ieri i democratici sono tornati sul tema senza cambiare opinione. Il ministro per l’Ambiente, Andrea Orlando, ripropone il veto pur senza nominare il leader del centrodestra: «E’ importante che ognuno abbia il senso della misura. Bisogna scegliere qualcuno in grado di unire. Alcune proposte non corrispondono all’esigenza di una pacificazione». E poiché la proposta fatta finora è una sola - l’autocandidatura del Cavaliere - il messaggio non ha bisogno di interpretazioni, anche perché Veltroni conferma: «Ci vuole un uomo che abbia equilibrio e terzietà. Non mi pare il profilo di Berlusconi». I DEMOCRAT CHE FRENANO
Nel campo del partito di Arcore, invece, insistono anche senza chiamare direttamente in causa il capo: «La presidenza della Convenzione spetta di diritto al Pdl visto che il Partito Democratico occupa già tutti i posti a disposizione». Ed è proprio questo batti e ribatti che alimenta le apprensioni di chi sta formalmente fuori dalla contesa, come Bobo Maroni: «Noi alla commissione per le riforme teniamo molto. Ma se vanno avanti a discutere su cose di nessuna importanza come il nome del presidente mi sa che il governo ha i giorni contati». Anche perché se il problema fosse solo quello di mettere d’accordo i democratici e i pidiellini si potrebbe immaginare una possibile mediazione. Il fatto è, però, che all’interno dello stesso Pd c’è chi frena sulla possibilità di insediare il gruppo di lavoro suggerito dai dieci saggi di Napolitano. Pippo Civati e Sandra Zampa, facce pubbliche del dissenso che lacera il partito, chiedono esplicitamente la convocazione di tutti i parlamentari per decidere democraticamente: «Che qualcuno ritenga possibile metter mano alla Costituzione nel clima e nella condizione politica attuale è un segnale gravissimo». E pure dalla periferia del Pd si accavallano le voci contrarie, come quella del presidente della Provincia di Pesaro, Matteo Ricci: «La Convenzione non ha nessun senso. Le riforme le deve fare il Parlamento».
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