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Pescara, 18/12/2025
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07/05/2013
Il Centro
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La passione per le battute: dal potere che logora al pensare male. Fu l’uomo dei governi con i liberali e con i comunisti, un politico realista Accusato di collusioni mafiose, detestato, sempre al centro degli equilibri |
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L’epitaffio da mettere sulla tomba lo suggerì lui stesso quando il Tg5 andò a intervistarlo per i suoi 90 anni: «Ci scriverei: “Fatevi i fatti vostri”». Una battuta delle sue, sussurrata a fil di labbra. Ne ha dette centinaia in oltre settanta anni di carriera politica. Quasi tutte erano sue, e quelle che non lo erano lo diventavano. Prendete quella sul pensar male, per esempio: «A pensare male degli altri si fa peccato, ma spesso ci si indovina». Sua? No, in un libro, «Il potere logora, ma è meglio non perderlo», svelò che l’aveva sentita nel 1939 dal vicario di Roma, Marchetti Selvaggiani. La più famosa resta proprio: «Il potere logora chi non ce l’ha», una sorta di marchio di fabbrica. La pronunciò alla Camera nel 1954 in difesa di Alcide De Gasperi. A un deputato dell’opposizione che chiedeva allo statista, ormai ottantenne, di farsi da parte perché logorato, rispose secco: «Il potere logora chi non ce l’ha». Il gusto della battuta non lo ha mai abbandonato. «A parte le guerre puniche, mi viene attribuito veramente tutto», diceva di sè. Ed erano i tempi dei processi: mafia e omicidio Pecorelli. «La teoria che non si dicono bugie non potrebbe essere applicata nemmeno alle suore di clausura, figuriamoci fra gli appartenenti di Cosa Nostra». Era stato ministro del Tesoro e delle Finanze e allora: «L’umiltà è una virtù stupenda. Ma non quando si esercita nella dichiarazione dei redditi». E ancora: «Non basta avere ragione: bisogna avere anche qualcuno che te la dia». A chi gli faceva notare il suo attaccamento al potere, replicava: «Meglio tirare a campare che tirare le cuoia». Craxi lo definì una volpe, aggiungendo che «le volpi a volte finiscono in pellicceria». Quando morì, Andreotti, gelido, commentò: «A volte i cacciatori muoiono prima della volpe».
ROMA E' stato il politico italiano che ha suscitato e vissuto i più accesi contrasti: uomo del Vaticano e però anche primo presidente del Consiglio ad avere il voto di fiducia del Pci alla fine degli anni '70; detestato, accusato di congiure, complotti, collusioni mafiose, ma anche ammirato per cultura, concretezza e abilità di governo; considerato molto filo-arabo, e tuttavia, a lungo, garante dei rapporti con gli Usa. L'elenco potrebbe continuare: alla visita di leva, al Celio, si era sentito dare pochi mesi di vita, e ha superato i 94 anni. «Mi faccio una colpa di provare simpatia per Andreotti», confessava Indro Montanelli. «E' il più spiritoso di tutti. Mi diverte il suo cinismo, è distaccato, ha un sangue di ghiaccio, è autenticamente colto». Ritratto perfetto. A noi giornalisti dava spontaneamente del tu: non per captare simpatie, ma perché si sentiva ancora giornalista. Scriveva sempre durante le sedute della Camera o del Senato. Ha lasciato all'Istituto Sturzo oltre tremila faldoni. Non credo che vi sia la chiave dei tanti misteri nei quali è stato coinvolto, accusato di essere amico di Sindona e di Gelli. Lascia un libro interessante, "Ore 13, il ministro deve morire": su Pio IX, sua passione, e un curioso, allusivo "giallo" (altra passione): "Operazione Via Appia", nella Roma del 1943, storia di… intercettazioni telefoniche. Tutto su Roma perché Andreotti era un concentrato di romanità: educato, orfano di madre, a smitizzare le cose da una vecchissima zia (nata nel 1854); svaghi sportivi (da spettatore) la Roma e il galoppo a Capannelle (aveva un distintivo di cuoio che gli consentiva di entrare in qualsiasi ippodromo); giochi di carte preferiti gin rummy e burraco; una consuetudine quotidiana, all'alba, con le chiese; una passione per il cinema. Il tutto vissuto nella casa umbertina in fondo a Corso Vittorio, fra il Tevere e la basilica dei Fiorentini, all'interno di una famiglia quanto mai schiva. La moglie, Livia, la portava raramente con sé. C'era in Cina, a Xiàn, la città dei guerrieri, dove con noi lui ironizzò sul largo seguito di Craxi: «C'è chi ama viaggiare con tutti i suoi cari…» Non a caso i suoi funerali saranno privati. Andreotti, politicamente parlando, nasce con la Fuci (gli universitari cattolici): lui direttore del giornale, nel 1939, e Aldo Moro, di tre anni più anziano, presidente. Lo cooptano in biblioteca. Ad Alcide De Gasperi, impiegato alla Vaticana, viene presentato da Montini, il futuro Paolo VI. De Gasperi ne caldeggia poi l'elezione alla Costituente, a 27 anni. Sottosegretario fisso della presidenza del Consiglio, si occuperà di cinema e di sport. Favorevole alla censura, finanzia però i film italiani tassando quelli americani. Fa ricostruire in fretta Cinecittà e rinascere il Coni dove piazza Giulio Onesti fino al 1978 e però rendendo, col Totocalcio, autonomo lo sport. Nel Lazio sarà presto il primo con una marea di preferenze, a Roma e in Ciociaria (il braccio destro, Franco Evangelisti, è di Alatri), dove fra le fabbriche finanziate dalla Cassa c'è anche una Valigeria Patty di Sindona, e dove capta voti di destra, riciclandoli. Vedi Ciarrapico. Pragmatico, organizzato gestore politico. Senza la vista lunga di Moro o di Fanfani. Non a caso, lui si oppone quando la Dc compie il passo storico dell'alleanza col Psi, del centrosinistra. Tuttavia regge la Difesa al tempo del Sifar e del sospetto "golpe" del generale De Lorenzo. Il suo turno di premier viene col centrodestra, nel '72, col liberale Malagodi. Dura poco. Ma nei contrastati anni '70 fra stragi, terrorismo, caro-prezzi in fiamme e anche grandi riforme (divorzio, aborto, diritto di famiglia, legge Basaglia, ecc.) torna a galla. E' stato la "bestia nera" del Pci. Sarà, dopo l'assassinio di Moro, il primo presidente del Consiglio dal 1947 votato dai comunisti. Come loro, si è opposto ai tentativi (Craxi, Fanfani, Paolo VI) di "trattare" con le Br per liberare Moro. Allora teorizza per la Dc i "due forni" alternativi, Psi e Pci. Inviso per questo a Craxi che gli augura di finire "in pellicceria" da "vecchia volpe", sarà invece con lui e con Forlani l'uomo del CAF che condizionerà tanta parte della politica. Ministro degli Esteri con Bettino. Di nuovo premier lui, fino a Tangentopoli. Che non lo sfiora. Ma ci sono le accuse, gravissime, per l'uccisione del giornalista ricattatore Mino Pecorelli e quelle di collusione, tramite Salvo Lima, con la mafia. Ne uscirà assolto (nel secondo caso però dopo il 1980, il periodo precedente è prescritto). Tuttavia al Quirinale, dopo Cossiga, salirà Oscar Luigi Scalfaro. Il "picconatore" era ossessionato da Andreotti. Una sera, di fronte a tutti, abbracciandomi, si sfogò: «Finché c'è quell'uomo là, mi sento braccato…» Eppure era difficile crederlo proprio Belzebù.
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