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Data: 07/05/2013
Testata giornalistica: Il Centro
Cialente: via il tricolore. Ricostruzione senza fondi, disposta la rimozione della bandiera da uffici e scuole

L’AQUILA «Oggi riconsegnerò la fascia da sindaco al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano e ho già disposto la rimozione del tricolore da tutti gli uffici comunali e dalle scuole». Una decisione «amara ma inevitabile» per il sindaco Massimo Cialente che ieri, in una conferenza stampa convocata in gran fretta, ha sfogato tutta la sua rabbia nei confronti dello Stato «che ha abbandonato L’Aquila al suo destino» e dei burocrati dei ministeri e della Corte dei conti «che continuano a mortificare la città con la loro politica del rinvio». Nel mirino anche il prefetto Francesco Alecci «che mi gira le proteste dei cittadini, indirizzate persino al capo dello Stato, chiedendo spiegazioni a me sui ritardi della ricostruzione. Spiegazioni che dovrebbe essere lui a dare alla città. Io non gli risponderò più». «Ora basta!» Ha tuonato Cialente. Detto e fatto. Il tricolore tirato via dalle scuole e dagli uffici comunali – dove a sventolare sono rimaste solo la bandiera dell’Europa e quella neroverde, «simbolo della città che non può e non vuole arrendersi» – e la fascia in viaggio nel primo pomeriggio verso il Quirinale. Un compito assegnato in tarda mattinata a un dipendente del Comune, poi il ripensamento di Cialente che ha deciso di recarsi lui stesso al Quirinale e di affidare nelle mani del presidente Napolitano la sua fascia. La stessa indossata in questi anni nelle tante manifestazioni all’Aquila e a Roma per sollecitare l’arrivo dei fondi per la ricostruzione. Quei 5-6 miliardi (ma non solo) senza in quali i centri storici della città e delle frazioni non potranno tornare alla vita. Una giornata ad alta tensione, quella vissuta ieri dal primo cittadino e dai suoi assessori tutti presenti alla conferenza stampa (ad eccezione di Stefania Pezzopane e Pietro Di Stefano impegnati a Roma). Non una sortita del sindaco, ma una scelta condivisa dall’intera giunta «stanca di dover fronteggiare un’emergenza così grande con le casse desolatamente vuote». A far traboccare il vaso, il mancato arrivo dei 250 milioni, ovvero della prima tranche dei fondi Cipe deliberati a dicembre. Soldi dati ogni settimana per certi e puntualmente fermi a Roma, come pure gli altri 500 (sempre Cipe) che erano stati sbloccati dopo l’ultima trasferta del sindaco a Roma con le carriole. Così, ieri Cialente ha deciso di dire basta e di non sottoporsi più «all’umiliazione di dover ogni volta spiegare l’emergenza aquilana ai burocrati di turno infastiditi persino dalle mie telefonate». Un Cialente tirato come non mai e consapevole della gravità delle azioni fino a qualche giorno fa solo minacciate e ieri messe in atto. Una scelta sofferta, la rimozione del tricolore «che tornerà a sventolare negli uffici e nelle scuole solo quando L’Aquila verrà considerata emergenza nazionale». In quanto alla fascia «tornerò a riprenderla solo quando lo Stato, non solo il governo, avrà fatto la sua parte». Come dire che i provvedimenti per L’Aquila dovranno arrivare subito «senza ulteriori prese in giro». Quindi, il richiamo al ministro Bray «che, dopo aver visto L’Aquila, avrebbe dovuto chiedere subito un Consiglio dei ministri straordinario». Un fiume in piena Cialente, che ha spiegato di aver inviato a Napolitano, ai ministri, alla Corte dei conti e ai direttori del Mise e del Mef, una lettera «dettata da una disperazione infinita e dal dolore nel prendere atto dell’insensibilità e del menefreghismo nei confronti della tragedia aquilana. Il trattamento che ci è stato riservato è una vergogna e tutto il mondo deve saperlo. A questo punto non è più tempo di telefonate, di incontri e di promesse puntualmente disattese. Entro 15 giorni L’Aquila dovrà avere i soldi per la ricostruzione, altrimenti io me ne andrò. Vengano loro qui – ministri, burocrati e magari la coppia Chiodi-Fontana – a dare risposte alle migliaia di persone che aspettano il contributo per la ristrutturazione delle loro case». Parole pesanti come macigni. Poi l’evocazione della resistenza, l’invito alla città a non piegarsi e ai genitori a spiegare ai loro figli le ragioni per le quali non vedranno il tricolore nelle loro scuole. Bandiere via ovunque, (tra qualche protesta e il no del preside dell’Alighieri), senza fornire alcuna spiegazione al prefetto, a cui il sindaco ha riservato l’ultima frecciatina al vetriolo della giornata. «Il prefetto ha chiesto di sapere in base a quale norma ho disposto la rimozione del tricolore. Mi denunci, io sono stanco e non ho più tempo da perdere».

La lettera del sindaco: «Impotenza e dolore»

Ecco il testo integrale della missiva al presidente Napolitano e ad altre autorità «L’Aquila è oggi la muta testimonianza della inefficienza del paese Italia»

di Massimo Cialente* Gentilissimo Signor Presidente, Gentilissimi Tutti, scrivo questa lettera per esprimere la mia profonda preoccupazione, il mio rammarico e la mia mortificazione come Sindaco e come Italiano per quanto sta accadendo a L’Aquila. Sono quattro anni che la ricostruzione non parte, quattro anni che la Città, uno dei centri storici più importanti d’Italia, è deserta, distrutta. Muta testimonianza dell’inefficienza del sistema Paese. Dopo la vergognosa parentesi del commissariamento, finalmente, con la legge c.d. Barca, gli strumenti per la ricostruzione sono passati ai Comuni; ci siamo dati da fare, abbiamo cercato, nonostante le mille difficoltà, di avviare a definizione migliaia di progetti, perché l’imperativo fosse ridare una casa ad oltre quarantamila sfollati e restituire il centro storico alla sua vita. Alla sua dignità. Dal mese di ottobre sono finiti i soldi. Dal mese di ottobre i cantieri che erano aperti hanno dovuto sospendere i lavori ed oltre duemila progetti, pari ad oltre 300 grandi condomini e 60 aggregati, aspettano solo il finanziamento per poter riprendere l’attività di ricostruzione. Dietro a questi numeri vi sono migliaia di famiglie che attendono. Ci è sempre stato detto che avremmo potuto contare, come comune dell’Aquila, sui 985 milioni di euro della delibera CIPE n.135 del dicembre 2012. Questi soldi di cui solo una parte di cassa, ad oggi, 6 maggio 2013, ancora non arrivano. Lo Stato, inteso come un sistema che dovrebbe essere capace di farsi carico realmente in scienza e coscienza, delle necessità reali, sta affrontando la vicenda aquilana con un atteggiamento burocratico di esasperata lentezza che nasconde l’assoluta mancanza di solidarietà e di rispetto istituzionale, l’assoluto disinteresse al destino delle Istituzioni locali, ma soprattutto dei cittadini aquilani, riparandosi nella giustificazione di fredde ed insensibili procedure burocratiche. Noi qui stiamo letteralmente crepando. Non mi rassegno. Non mi rassegno e non sopporto più l’idea che gli incartamenti relativi ai nostri finanziamenti possano stare per mesi fermi su una scrivania, ricevendo lo stesso trattamento che viene riservato a qualsiasi altra pratica alla quale tocca subire l’inefficiente burocrazia del Paese. Io sono un medico e sin dall’inizio dei miei corsi di studio ho imparato a distinguere l’emergenza dagli interventi di elezione. Ciò che mi muoveva e mi muove nel mio lavoro è soprattutto un sentimento di pietas, chiamatela pure care. In questo caso, dovrebbe definirsi il senso di responsabilità dello Stato. Come Sindaco, mi sento umiliato; umiliato nel dover telefonare a funzionari vari, dovendo ogni volta spiegare l’emergenza aquilana, la necessità di ricevere i finanziamenti. Mi sento umiliato di ricevere la risposta : “Abbiamo bisogno dei nostri tempi”. Umiliato nel dover spiegare che affinché L’Aquila non muoia c’è immediatamente bisogno di un decreto che con un meccanismo di cassa depositi e prestiti, finanzi un altro miliardo per rispettare il nostro cronoprogramma. Cronoprogramma che questa Amministrazione comunale ha avuto la forza e la responsabilità di far accettare ai cittadini, a molti dei quali ha dovuto dire con coraggio che le loro case si potranno ricostruire solo a partire dal 2016. Noi ce la stiamo mettendo tutta ma lo Stato ci ha abbandonati. Assumendomi la responsabilità di ciò che dico, segnalo ancora una volta che la Città è allo stremo: scoramento, sfiducia, rabbia, disperazione, povertà. Io, Noi, non ce la facciamo più. Non so più come spiegare che in questi mesi, gli unici nei quali a L’Aquila si può lavorare nell’edilizia prima che torni il gelo del nostro inverno, migliaia di cantieri non possono partire. Stiamo perdendo un altro anno. La rabbia è tanta. Nuovamente ieri ho subito un aggressione, dapprima verbale e poi fisica, da parte di un gruppo di giovani disoccupati e senza casa. Fortunatamente sono stato difeso da altri cittadini. Tra l’altro segnalo che recentemente, il Prefetto ed il Comitato per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica, hanno ritenuto giusto negare la possibilità che il mio autista fungesse anche da agente di Pubblica Sicurezza, come lo è già stato, ritenendo che io non abbia bisogno di alcuna protezione. Mi sta bene e me la cavo da solo. Ma voglio segnalare questo fatto come un’altra prova dell’assoluta incapacità dello Stato a capire quello che sta succedendo in questa Comunità abbandonata a se stessa dallo Stato stesso che del nostro dramma si è preoccupato solo di fare uno show e uno scontro politico. Non intendo più accettare questo stato di cose in modo omertoso. Non mi presterò più a fare da cuscinetto fra uno Stato indifferente e la disperazione degli aquilani. Voglio difendermi come aquilano, devo difendere la sopravvivenza della Città. Voglio difendere la città da uno stato che con una legge ha deciso che l’emergenza è finita, lasciandoci soli, senza norme in una situazione nella quale 40.000 sfollati sono la punta dell’iceberg. Voglio difendere la Città dalla minaccia di dover pagare milioni di euro di tributi inizialmente non versati, o dal ricevere “bollette pazze” dall’ENEL. Abbiamo invano chiesto di ragionare con i Ministri interessati. Risposta: nulla. Riconsegno oggi nelle Sue mani, Signor Presidente della Repubblica, la fascia tricolore. Le comunico che lo abbiamo deciso come Giunta. Che venga lo Stato a spiegare ai cittadini le sue logiche e le sue scelte. Alla base della nostra Costituzione, in ogni articolo, si respira il senso della responsabilità istituzionale e democratica che si esprime nei diritti e nei doveri delle Istituzioni e dei Cittadini. Questo spirito non lo vedo nel comportamento dello Stato. Come segnale del dolore di questo abbandono, come denuncia per quel diritto dovere che fu proposto come articolo dai costituenti alla resistenza di fronte ai soprusi, da oggi non indosserò più la fascia tricolore ed ammainerò il tricolore da tutti gli edifici pubblici comunali. Lo Stato ci costringe a riconoscerci solo nella bandiera della Città nero verde, colori che nel 1703 sostituirono il bianco ed il rosso. Dopo il terremoto del 1703 gli aquilani scelsero il nero del lutto ed il verde della speranza. Oggi, se dovesse continuare così, ci si costringerà a togliere anche il verde. Un’ ultima considerazione. Abbiamo perso più di sette mesi per la ricostruzione delle case; ogni mese per l’assistenza alla popolazione, a quattro dal sisma, spendiamo 3 milioni di euro per ospitare ancora gli sfollati negli alberghi, nella scuola della Guardia di Finanza e per il contributo di autonoma sistemazione. Soldi degli Italiani che vengono gettati in questa fornace, i cui mattoni si chiamano inefficienza, indecisione ma soprattutto insensibilità. Ho dettato questa lettera con una disperazione infinita, con un senso di impotenza e di dolore nel prendere atto che tutti gli sforzi che gli aquilani stanno facendo cozzano contro un’assoluta insensibilità. A volte indifferenza. Ieri, 5 maggio, mille storici dell’arte Italiani, si sono incontrati a L’Aquila per denunciare lo stato di abbandono del centro storico ed il fallimento della ricostruzione. Mi sono sentito mortificato come Sindaco, mortificato di dover mostrare ancora le nostre piaghe. Scrivo questa lettera perché è giusto che, come io e tutti gli aquilani stiamo facendo da quel maledetto 6 aprile 2009, anche gli altri comincino ad assumersi definitivamente le proprie responsabilità. * sindaco dell’Aquila

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