MILANO E’ la prima condanna di secondo grado incassata nei trentatre processi che ha affrontato, il terzo verdetto di colpevolezza pronunciato nei suoi confronti nel giro di sei mesi. «L’ennesima sentenza politica, una persecuzione», insorge compatto il Pdl. «Un’assurdità», scuote la testa l’avvocato Niccolò Ghedini. La Corte d’Appello di Milano ha confermato per Silvio Berlusconi la condanna a quattro anni di reclusione, tre dei quali coperti dall’ombrello dell’indulto, per frode fiscale nel processo sull’acquisto dei diritti tv Mediaset. Ribadita la condanna a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici e di tre anni dagli uffici direttivi. Insomma, dai giudici niente sconti per il Cavaliere.
FONDI NERI
Assolto come in primo grado Fedele Confalonieri, presidente Mediaset, confermati i tre anni per il produttore statunitense Frank Agrama e la provvisionale di 10 milioni di euro a favore dell’Agenzia delle entrate che Berlusconi dovrà versare in solido con gli altri tre condannati. Il collegio d’Appello, in sostanza, ha mantenuto integro l’impianto accusatorio: per la procura di Milano il meccanismo elaborato negli anni Novanta dalla Fininvest per comprare negli Usa i diritti dei film da trasmettere sulle reti del Biscione era finalizzato a frodare il fisco. In che modo? I diritti, è la tesi dei magistrati, venivano acquistati non dalle major ma da alcuni intermediari, un passaggio che permetteva di gonfiare i prezzi e di stornare poi parte del denaro a favore della famiglia Berlusconi. Finvinvest avrebbe ottenuto così un duplice risultato: aumentare le voci passive a bilancio, con notevoli risparmi sotto il profilo dell’imposizione fiscale, e creare un sistema di fondi neri. Nello specifico, tra il 1994 e il 1998 il gruppo dell’ex premier avrebbe registrato «costi fittizi per 368 milioni di dollari» nell’operazione di acquisto dei diritti tv su una spesa complessiva di un miliardo di dollari. La contestazione di frode fiscale mossa a Berlusconi riguarda gli anni dal 2001 al 2003 e, stando all’accusa, in quel periodo gli effetti sui bilanci dei costi lievitati «ammontano a circa 40 milioni di euro». Una macchina mangiasoldi che, sostengono i magistrati, ha continuato a funzionare a pieno regime anche dopo l’ingresso in politica del Cavaliere. «Perché non c’era un altro soggetto» a gestire la frode, rileva il giudice Edoardo D’Avossa nella sentenza di primo grado.
«DIRITTO A RISCHIO»
Per Ghedini il verdetto d’Appello è la riprova dell’accanimento dei magistrati di Milano nei confronti del Cavaliere. «La forza della prevenzione è andata al di là della forza dei fatti», afferma. «In qualsiasi altro tribunale non avremmo mai avuto una sentenza di questo tipo, se l’imputato non si fosse chiamato Silvio Berlusconi». E adesso la stabilità del governo è a rischio? «Non credo ci sia una correlazione. Semmai viene messa a rischio la stabilità del diritto». Il Pdl si stringe attorno al suo capo. «E’ una vicenda folle e inaccettabile, che non fermerà l’azione di Silvio Berlusconi», garantisce Maurizio Gasparri. «Come volevasi dimostrare arriva con straordinaria puntualità un nuovo attacco giudiziario contro Berlusconi con evidenti obiettivi politici», chiosa Fabrizio Cicchitto.
Ma c’è l’incognita Consulta e la prescrizione incombe
MILANO Con un’accelerazione proprio sul finale, la seconda sezione della Corte d’Appello ha pronunciato una sentenza decisiva per il Cavaliere. «Nessuna sorpresa, non ci aspettavamo nulla di diverso dai giudici di Milano», minimizza l’avvocato Niccolò Ghedini. Certo è però che il verdetto Mediaset rischia di interrompere bruscamente la carriera politica di Silvio Berlusconi, sempre che nel frattempo non intervenga la prescrizione.
LA TAGLIOLA DEL 2014
I termini, per il processo sull’acquisto dei diritti televisivi, scadranno a luglio del 2014: se entro questa data la sentenza non diventerà definitiva con il pronunciamento della Cassazione, l’accusa di frode fiscale nei confronti dell’ex premier sarà prescritta. Teoricamente quattordici mesi bastano e avanzano per completare il percorso giudiziario, se non fosse che sul verdetto d’Appello pesa l’incognita della Corte costituzionale, chiamata a decidere se sia stato corretto svolgere a marzo 2010 un’udienza di primo grado nonostante Berlusconi fosse impegnato in una riunione del consiglio del ministri e avesse sollevato un legittimo impedimento. La Consulta scioglierà la sua riserva a giugno e sul tavolo ci saranno due opzioni: ritenere l’udienza di tre anni fa ininfluente, soluzione che manterrebbe integre le due sentenze, oppure dare ragione al Cavaliere e rimandare il processo alla Corte d’Appello, che a sua volta deciderà se ripetere l’udienza riconvocando i quattro testimoni americani. Ipotesi che allungherebbe i tempi in maniera tale da rendere la prescrizione pressoché scontata. Il collegio presieduto da Alessandra Galli ha deciso di chiudere comunque la sua partita con il Cavaliere pronunciando la sentenza prima della Consulta, sfruttando fino in fondo l’opportunità offerta dall’ex premier che, pur impegnato in questioni politiche, non ha opposto alcun legittimo impedimento per l’udienza di ieri. E così i giudici sono andati fino in fondo, confermando la sentenza di primo grado a quattro anni di carcere e cinque di interdizione dai pubblici uffici.
INDULTO A RISCHIO RUBY
Esito che per il futuro politico del fondatore del Pdl potrebbe rappresentare un serio problema. Non solo c’è l’interdizione, che se confermata in via definitiva lo metterebbe fuori gioco, ma anche il contraccolpo del decreto varato dal governo Monti: con una condanna superiore ai due anni scatta la decadenza dal seggio parlamentare. Vero che per effetto dell’indulto a Berlusconi vengono condonati tre anni, tuttavia se dovesse incassare una condanna sopra i due anni anche nel processo Ruby il condono gli verrebbe revocato e rientrerebbe nel perimetro del decreto Monti. La norma riguarda alcuni reati, tra cui quelli contro la pubblica amministrazione come la fronde fiscale, e prevede che a pronunciarsi sul decadimento del seggio sia la camera di appartenenza. Nel caso del Cavaliere il Senato, dove non dispone della maggioranza per disinnescare questa potenziale mina. «Non esiste alcun caso politico, semmai un caso giudiziario», taglia corto Ghedini. Parla di prove calpestate e di testimoniante ignorate, mentre per l’accusa undici anni di indagini e sette di processo hanno portato ad accertare - sebbene in via non ancora definitiva - una «scientifica e sistematica evasione fiscale» organizzata e architettata da Silvio Berlusconi. Al quale viene attribuita dai giudici di primo grado «la particolare capacità a delinquere dimostrata nell’esecuzione del disegno delittuoso».