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Data: 11/05/2013
Testata giornalistica: Il Centro
«Contro D’Alfonso nessuna prova». Il tribunale spiega l’assoluzione: non ha preso tangenti e la sua famiglia l’ha mantenuto. I Toto? Viaggi gratis, sono amici

Domani, secondo appuntamento della campagna elettorale per le Regionali di Luciano D’Alfonso. L’ex sindaco ha organizzato, insieme al gruppo consiliare del Pd, un incontro pubblico, alle 18, davanti all’Aurum. Alla manifestazione, chiamata «Riannodiamo i fili del futuro della città», parteciperanno anche il sindaco di Bari Michele Emiliano, l’imprenditore Gabriele Pomilio, il manager Daniele Kihlgren che ha realizzato l’albergo diffuso a Santo Stefano di Sessanio e l’ex vice sindaco Camillo D’Angelo. È previsto, durante la manifestazione, un intervento teatral-musicale di Susanna Costaglione. «Questo evento», ha spiegato il capogruppo del Pd Moreno Di Pietrantonio, «servirà per ricordare la nostra attività amministrativa svolta dal 2003 al 2009 e per fare il punto sul rilancio della città».
di Paola Aurisicchio wPESCARA «Di tutto questo non vi è prova nel processo». E’ una pietra quella che il giudice Antonella Di Carlo mette sul processo che per due anni ha portato in aula Luciano D’Alfonso, accusato di tangenti e di un legame marcio con gli imprenditori, sindaco che l’accusa ha visto corrotto per pagare la sua villa di Lettomanoppello e per viaggiare gratis. «Il ruolo accentratore non prova la responsabilità». Nulla è stato provato, ripete spesso il presidente del collegio formato anche da Nicola Colantonio e Paolo Di Geronimo che a 3 mesi dalla sentenza di assoluzione dell’ex sindaco, del suo uomo di fiducia Guido Dezio, degli imprenditori Carlo e Alfonso Toto e di altre 20 persone, ribalta l’accusa, spiega in 314 pagine perché i 24 nomi sono stati assolti e perché il pm Gennaro Varone ha preso un abbaglio. «I ruoli verticistici e preminenti di D’Alfonso, nel partito e nel Comune, non possono essere obliterati», illustra il collegio nelle motivazioni di assoluzione, «ma da soli non sono risolutivi a dimostrazione del concorso nei reati. La prova della responsabilità di D’Alfonso è stata ancorata al suo “status” per il quale chi gestisce con metodi di forte accentramento non può non essere colpevole e partecipe: congetture». Muove dai grandi argomenti che hanno tenuto banco nel dibattimento, il tribunale, quando affronta ora la lista Dezio, quella che l’accusa voleva come un elenco di tangenti ricevute da Dezio per finire a D’Alfonso, ora i conti dell’ex sindaco, ora i viaggi offerti da Toto a D’Alfonso fino all’appalto dell’area di risulta. Documenti, delibere, testimonianze, intercettazioni, alcune deposizioni: tema per tema il collegio scagiona i 24 partendo da analisi documentali per giungere a conclusioni, come spesso è scritto, «logiche». Un’analisi degli atti in cui dovrà infilarsi Varone nel suo appello. «Un dato certo: D’Alfonso ha contato sul sostegno economico dei familiari». Per molti anni, ha sostenuto il pm, dai conti di D’Alfonso sono uscite cifre irrisorie. Era questa, per Varone, l’ombra delle tangenti da cui D’Alfonso si difese rispondendo di aver potuto contare sull’aiuto dei genitori, dei parenti e di aver avuto una famiglia chioccia perché, come disse in aula, «ero l’unico soldato abile della famiglia a gestire le risorse». Varone insistette ricordando, come fanno anche i giudici negli schemi dedicati alle entrate e alle uscite di D’Alfonso e dei familiari, che «nel 2004 l’ex sindaco ha speso per i beni di prima necessità 12 mila euro, 3.500 euro nel 2005, 13 mila euro nel 2006». I giudici riportano, senza commentare, gli schemi finanziari familiare per familiare e quelli dell’ex sindaco aggiungendo soltanto: «I consulenti del pm hanno svolto accertamenti reddituali, patrimoniali e finanziari su D’Alfonso e i suoi familiari dal 2003 al 2008 da cui si desumono due risultati certi: D’Alfonso poteva contare anche sul sostegno economico dei familiari e disponeva di denaro liquido». Gridò allo scandalo, il pm nella sua requisitoria, svergognando il sindaco perché «non aveva provato vergogna a dire che viveva con i soldi della zia e non aveva provato disagio a farsi pagare i viaggi dai Toto». «Voli gratis da Toto ma amministrazione contraria a Toto». Ma ricordano i tre magistrati che «non è questa la sede per valutare le condotte private di D’Alfonso». La frase è inserita nel capitolo in cui Di Carlo, Colantonio e Di Geronimo si soffermano sull’altra vicenda chiave dell’accusa: il rapporto tra D’Alfonso e i Toto, i viaggi gratis in cambio – diceva Varone – dell’appalto dell’area di risulta. «E’ riscontrato che i Toto abbiano sostenuto i costi dei viaggi di D’Alfonso a Malta, a Venezia, a Santiago De Campostela, a Chicago.... Il processo ha registrato la frequentazione amicale, datata e costante di D’Alfonso con la famiglia Toto», scrivono i tre, «che per D’Alfonso ha pure significato che si giovasse della disponibilità economica degli imprenditori Toto». Voli gratis in cambio dell’appalto dell’area di risulta? No, dicono i tre magistrati, spiegando anzi: «Non è sostenibile perché durante la procedura dell’appalto dell’area di risulta D’Alfonso faceva il sindaco. Non è che D’Alfonso fosse appiattito sui ritorni economici del gruppo Toto perché, almeno in due episodi, l’amministrazione ha assunto decisioni contrarie ai Toto». Per quell’appalto, ricostruito nelle motivazioni minuziosamente attraverso i documenti amministrativi, «il collegio ritiene che non sono state assecondate le aspettative di Toto». «Tangenti nella lista Dezio? Salto logico ingiustificato». E’ corposa la parte dedicata alla lista che venne sequestrata a Dezio, l’uomo che la procura definì come «il collettore di tangenti» e D’Alfonso, poi, «il beneficiario». In quel documento c’erano i nomi degli imprenditori accanto a cifre e a due lettere: ora B ora N. Quella N, il nero, stava per tangenti? Ancora no, illustrano le motivazioni «deducendo logicamente che le uscite finanziarie dei soggetti N erano in favore della politica». «Non può sostenersi», spiega il tribunale, «che i soggetti N avrebbero dato i soldi a Dezio perché ne lucrasse D’Alfonso. Affermare che nel 2006 gli imprenditori, che anche negli anni precedenti avevano finanziato la politica, da finanziatori del partito siano diventati corruttori e concussi al soldo di D’Alfonso è un salto logico ingiustificabile». «Cardinale amico di D’Alfonso, non ha mentito sulla villa di Letto». Se Dezio non ha preso una tangente per il bar del tribunale, lo stesso reato viene meno anche nella vicenda della villa a Letto di D’Alfonso, quella che l’accusa voleva comprata a prezzi stracciati dall’imprenditore Rosario Cardinale. E’ in un’intercettazione a Cardinale che i giudici trovano la chiave per far cadere la corruzione tra D’Alfonso e l’imprenditore. Cardinale dice: «Per la casa ho fatto pagare quello che giustamente ho speso. D’Alfonso è un amico, è stato il compare di...». E’ in questa conversazione, registrata dopo due mesi l’arresto di D’Alfonso, che il tribunale ravvisa quello che è stato un altro cavallo di battaglia della difesa di D’Alfonso, la capacità relazionale dell’ex sindaco, la sua rete di rapporti. «Nessun elemento induce a ritenere che Cardinale nel contesto abbia mentito ad arte. E lui a dire perché che era amico di D’Alfonso», aggiungono ancora. Se la nota frase “Non pensate solo ai soldi! Occupatevi di lavorare!” inviata da D’Alfonso alla tipografia Brandolini è, per il collegio, «scevra da qualunque pressione all’equazione partito-Comune», le ultime pagine delle motivazioni della sentenza di assoluzione sono dedicate all’associazione per delinquere caduta. «Il programma criminoso», dice il collegio, «vedeva un ritorno di utili concreti solo per D’Alfonso. La prima obiezione», si domandano i giudici, «è di natura logica e attiene al perché gli imputati abbiano potuto commettere un reato così grave con indubbia spendita personale e senza ritorno. Escludendo la ripartizione di utili», concludono, «per gli altri imputati appaiono residuare gratificazioni di natura immateriale che non sono conferenti con i percorsi illeciti».

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