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Data: 13/05/2013
Testata giornalistica: Il Messaggero
Lite tra Letta e Alfano poi la mediazione: niente più ministri in piazza fino al voto. La minaccia di Enrico: «Continuate così e mi dimetto»

SPINETO (Sarteano) «Sappiate che io non mi faccio logorare, se siete al governo per fare campagna elettorale, me ne vado. Non resto a palazzo Chigi a ogni costo». Altro che “fare spogliatoio”. Nonostante le (ex) sante mura dell’abbazia, Enrico Letta comincia il ritiro ministeriale con un ultimatum. Con una litigata - una di quelle storiche - con Angelino Alfano e Maurizio Lupi. La causa: la partecipazione del vicepremier e del ministro delle Infrastrutture all’adunata di sabato a Brescia contro i pm.
IL VIAGGIO

Tutto comincia in viaggio. On the road. Letta decide di tenere un pre-vertice in un mini-van Volkswagen con Alfano, Lupi e il ministro ai rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini. Qui, raccontano fonti ben informate imbeccate dai ministri del Pd e del Pdl, «esplode uno scontro furioso».
Letta, sostenuto da Franceschini, mentre il van sfreccia sulla A1 chiede conto ad Alfano e a Lupi della partecipazione alla manifestazione anti-pm: «Ciò che è accaduto a Brescia è inaccettabile, non si può più ripetere. Le ricadute negative sul governo sono superiori alla sua capacità di tenuta». Predica: «Dobbiamo abbassare la tensione, non fomentarla. Ora va sminato il terreno da questi elementi di contrasto». Parole frutto di un confronto telefonico con il presidente Giorgio Napolitano che, guarda caso, proprio nelle stesse ore avverte Berlusconi: «I giudici sono baluardo della legalità».
Alfano e Lupi tengono il punto. Assicurano che non potevano prendere le distanze da Berlusconi disertando la manifestazione di Brescia. Garantiscono che se l’avessero fatto avrebbero potuto compromettere la vita del governo: «Se Silvio pensasse che gli siamo ostili, l’esecutivo sarebbe finito». Sostengono che non intendono, per nessuna ragione al mondo, rinunciare alla propria identità. «Non ammaineremo le nostre bandiere, non ci appiattiremo sulle posizioni del Pd. Tantomeno sul fronte della giustizia. E mai smetteremo di difendere Berlusconi».
IL NODO GIUSTIZIA

Lo scontro si fa sempre più aspro. Il mini-van che corre (piano) sull’autostrada diventa un mini-campo di battaglia. Si narra di urla. Di parole scandite con rabbia. Letta prova a imporre una “regola aurea”: il divieto per tutti i componenti del governo di partecipare a manifestazioni politiche e a talk-show tv «finché il governo resterà in piedi». Spiegazione: «E’ una questione di serietà, siamo al governo non in campagna elettorale».
Alfano e Lupi ancora una volta rispondo picche. Poco prima di arrivare a Spineto, dopo il via libera telefonico di Berlusconi, i quattro però giungono a una mediazione (minima): il divieto varrà solo fino alla fine dei ballottaggi delle elezioni amministrative del 26 e 27 maggio. Fino al 10 giugno. Poca cosa rispetto alle attese di Letta.
NO COMIZI PER I MINISTRI

Così, appena sbarcato in abbazia, appena riuniti i ministri nella vecchia canonica, il premier rinuncia alla prevista conferenza stampa. E detta una nota ufficiale tramite il suo portavoce, Gianmarco Trevisi: «In apertura dei lavori Enrico Letta ha comunicato quanto concordato con Alfano nel corso del viaggio da Roma. E cioè che da qui alle elezioni amministrative i membri del governo non parteciperanno a manifestazioni elettorali, né a dibattiti radio e tv che non siano incentrati sul programma di governo».
SPOGLIATOIO DIFFICILE

La tensione resta alta anche in abbazia. Quando comincia la riunione plenaria deve trascorrere più di un’ora prima che si attenui il clima di scontro. Poi il premier chiede ai ministri di «evitare annunci»: «Contano le cose fatte, non quelle annunciate». Chiede di «ripartire dal Parlamento»: «Sono tanti anni ormai che il rapporto con il governo è complesso e faticoso». Ma il terreno resta minato, come prevedeva il premier.
EVITARE ANNUNCI

La prova? Lo stop di Alfano ai disegni di legge a favore della cittadinanza ai figli degli immigrati e delle unioni civili per i gay. «Il vicepremier non vuole maggioranze variabili su singoli provvedimenti, ci sarebbero gravi ricadute sul governo», scandisce la portavoce di Alfano, Danila Subranni. E pensare che il ritrovo in abbazia doveva servire «a fare spogliatoio».

La minaccia di Enrico: «Continuate così e mi dimetto»

SPINETO «Non ce la facevo più, manco ci hanno fatto fare la pipì...». Quando dopo oltre due ore, per 158 chilometri, media di 90 all’ora, senza neppure una fermata all’autogrill, il pulmino carico di ministri approda all’abbazia di Spineto, un ministro sbotta via sms.
SCONTRO NEL VAN

Gli altri, inquadrati da lontano dalle telecamere, hanno la faccia annoiata. E in più piove. Come pioveva nel 2006 quando tra queste mura albergò Romano Prodi. «Sto convento non porterà mica jella?!...», messaggia un altro ministro. Il debutto in bus del governo di Enrico Letta è un lungo viaggio per un breve percorso. Niente sirene. Stop, uscendo da Roma, ai primi semafori. Poi, pian piano, sulla via Salaria, il traffico aumenta e qualche rosso viene bruciato. Su un mini-van Volskwagen viaggiano Enrico Letta, Angelino Alfano, Maurizio Lupi e Dario Franceschini, per il primo vertice di governo “on the road” della storia Repubblicana. Ed è un vertice in cui si litiga di brutto. La prova: all’arrivo a Spineto, Letta concede alle telecamere un sorriso forzato. Lupi, Franceschini e Alfano neanche ci provano.
Poco prima, sull’A1, il premier ha minacciato le dimissioni sulla questione della partecipazione, proprio di Alfano e Lupi, alla manifestazione anti-pm di Brescia: «Non mi faccio logorare, se siete al governo per fare campagna elettorale, me ne vado. Non resto a palazzo Chigi ad ogni costo». E scatta una feroce bagarre.
Sul pulmino più grande viaggiano gli altri ministri. Nessuno si accorge di nulla, nessuno annusa rischi di crisi. Cécile Kyenge, in total pink, è seduta accanto a Enzo Moavero, camicia e pantaloni pervinca. Beatrice Lorenzin fa coppia con il sottosegretario alla Presidenza, Filippo Patroni Griffi. Sul retro sono seduti Mario Mauro e Gaetano Quagliariello accanto alla titolare degli Esteri, Emma Bonino, ed a Giampiero D’Alia (Pubblica Amministrazione) che indossa uno sgargiante giubbetto casual.
TUTTI SECCHIONI

La partenza è glaciale. Nessuno parla. Tutti sono immersi nelle loro letture. Via sms un ministro assicura: «Stiamo preparando i dossier da presentare al premier con le nostre proposte». «Qui sono tutti secchioni!!!», messaggia con tre punti esclamativi un altro membro del governo. L’esortazione programmatica di Letta, «vediamoci per fare spogliatoio», è un lontano ricordo. Del resto i capi bastone sono nel pulmino avanti. A litigare. A rompere il ghiaccio ci pensa Mauro. Da ministro della Difesa è appena stato alla festa degli alpini. E’ entusiasta. Intona prima “Penna nera”, poi «sul ponte di Bassano noi ci darem la mano, non ci darem la mano e un bacin d’amor...». Qualcuno lo segue. Gli altri tacciono. Poi Mauro si mette a fare giochini sull’I.Pad. Sempre sull’I.Pad prende appunti Anna Maria Cancellieri, dando prova di imprevista abilità tecnologica. Quagliariello si tuffa nella lettura dei giornali e D’Alia si pianta le cuffie dell’I.Phone nelle orecchie per sentire musica. Qualche ministro preferisce arrivare in auto propria. E’ il caso di Massimo Bray (Cultura) che si trovava in toscana «da amici» per il week-end. E di Nunzia De Girolamo (Agricoltura) che sbarca direttamente dalla Campania per una motivazione nobile: «Sono arrivata da sola per stare qualche ora con mia figlia che ha 11 mesi a Benevento e trascorrere con lei almeno il pranzo in occasione della festa della mamma».

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