«La discarica La Torre era denominata discarica comunale controllata, ma non è mai stata controllata da nessuno». Parole dure che rappresentano uno dei passaggi chiave della requisitoria del pm Stefano Giovagnoni, che ieri mattina ha chiesto la condanna ad un anno e 4 mesi per crollo colposo per l’ex sindaco di Teramo ed attuale presidente della Regione Gianni Chiodi, per l’ex vicesindaco Berardo Rabbuffo, per l’ex dirigente regionale del settore rifiuti Massimo Di Giacinto e per l’attuale dirigente regionale del medesimo settore Franco Gerardini e per il dirigente comunale Nicola D’Antonio, che all’epoca dei fatti aveva tra le sue funzioni quello di responsabile tecnico del sito. Imputati che, secondo la Procura, dopo la prima frana del 14 aprile 2005, a fronte di una situazione emergenziale che era sotto gli occhi di tutti, avrebbero dovuto ognuno nei propri ruoli mettere in atto opportuni provvedimenti che al contrario non furono presi. Tanto che continuarono ad arrivare proroghe che autorizzavano il funzionamento della discarica, dove si continuò a scaricare fino al crollo definitivo avvenuto tra il 16 e il 17 febbraio 2006. E proprio la frana del 2005 diventa la scriminante per chiedere invece l’assoluzione, dal reato di crollo colposo con la formula «perchè il fatto non costituisce reato», dell’ex sindaco Angelo Sperandio, degli ex presidenti della Provincia Claudio Ruffini ed Ernino D’Agostino e per l’ex dirigente della Provincia Ferdinando Di Sanza. Per la Procura, infatti, fino a quella data «i segnali d’allarme c’erano ma non erano così significativi da far prevedere quello che stava per succedere». Una situazione destinata a cambiare il 14 aprile 2005, con l’Arta arrivata sul posto «solo in seguito all’esposto di un cittadino e non perchè chiamata dal Comune». «Viene giù un quarto di discarica e il Comune dorme sonni tranquilli», accusa il pm nella requisitoria, puntando il dito innanzitutto contro D’Antonio accusato sia di condotta omissiva, per non aver attivato le idonee procedure, sia di condotta commissva «perchè così facendo è andato ad immettere nuovi profili, nuovi fattori di rischio». Il tutto, secondo l’accusa, perché l’interruzione dell’esercizio della discarica avrebbe «rappresentato un duro colpo» al modello Teramo, all’immagine di «un’amministrazione che aveva l’ambizione di porsi come un modello di amministrazione da esportare». La Procura ha chiesto l’assoluzione dei dirigenti Arta Maria Pia Gramenzi e Maria Daniela Marcozzi Rozzi. Agli altri imputati erano addebitati, a vario titolo, anche altri capi d’imputazione per i quali è stata chiesta l’assoluzione (in alcuni casi per prescrizione).