Iscriviti OnLine
 

Pescara, 18/12/2025
Visitatore n. 750.317



Data: 16/05/2013
Testata giornalistica: Il Messaggero
Addio a Spallone, una vita per il Pci. Fu il medico di Togliatti, visitava al piano terra di Botteghe Oscure

L’AQUILA «La nostra società oggi è affetta da una lebbra: i politici. Sono tutti mazzettari e portaborse. Fanno politica solo per curare gli interessi personali. In questa società malata, l’unica vera speranza sono i giovani. Per far crescere al meglio i nostri ragazzi, però, vanno chiuse le discoteche e riaperti i bordelli».
Quello che potrebbe essere il testamento dell’ultimo dei «cafoni» abruzzesi assurti a protagonisti della Storia, «il compagno Mario» lo gridò, quasi venti anni fa, in una conferenza stampa dell’assurdo (Spallone aveva sempre attorno un alone d’atmosfera felliniana) mentre era ricoverato in una delle sue cliniche, Villa Luana. Era il luglio del 1995. Ad Avezzano il Municipio era piombato nel caos dopo che lui, il sindaco, era stato colto da un malore rivelatasi, poi, un pericoloso infarto. L’opposizione aveva urlato che il sindaco non era più nelle condizioni di salute per governare. Per tutta risposta, dopo aver fatto tanto di corna a chi lo voleva malaticcio e quasi morente, «il professore» rispose contraccando.
Alla sua maniera convocando una conferenza stampa in vestaglia, pantofole e il classico bastone, segno di comando.
Lo hanno dato per morto troppo presto i suoi nemici che hanno sempre ironizzato sulle sue «spallonate». Come la proposta di riallagare il Fucino; di ordinare una messa, lui comunista, per Padre Pio o di installare la filodiffusione, «perché alla moglie potessero giungere i canti gregoriani», nel cimitero della sua cittadina natale, Lecce dei Marsi, dove il padre Rodomonte, che faceva il sarto, gli leggeva «Il Capitale». Ma sempre amatissimo «il Re Leone» («Il buffone di Re Lear», lo stroncava spesso Aldo Natoli) diventato famoso per essere stato il medico personale di Palmiro Togliatti e di tutta la nomenklatura del Pci ma anche per aver realizzato una vera e propria industria sanitaria gestita dal suo clan (il primo a usare questo termine per gli Spallone fu Nenni che, quando cadde svenuto nella Dora per un colpo di sole mentre stava leggendo, vide arrivare Spallone da Roma ad accudirlo. «Voglio un aereo», chiese il medico al ministero della Difesa. Lo ebbe e partì): i suoi tre fratelli Ascanio, Dario e Ilio (tutti medici, solo il quarto, Giulio, ha scelto la politica e fu deputato Pci) e dai suoi quattro figli Alfredo, Annamaria, Giancarlo e Marcello (tutti medici).
Una dinasty partita da questo giovane medico approdato a Roma dalla Marsica dei «cafoni» così come era capitato al suo conterraneo Ignazio Silone. Qui, a Botteghe Oscure, il dottorino aveva aperto un ambulatorio al piano terra: certificati e prescrizioni all'abbisogna e, soprattutto smistamento delle suppliche per poter operarsi in Russia. «Terra promessa» con la quale «il compagno Mario» avviò fin da allora stretti rapporti (era il sanitario di fiducia anche delle ambasciate dell'Est a Roma) tanto che è stato uno dei pochi occidentali a partecipare a Mosca alle esequie di Raissa, la moglie di Gorbaciov, amico personale di quel medico marsicano che dalla sua tv locale (Atv7) fece trasmettere perfino un Tg in russo. Togliatti si fidava solo di lui tant'è che una volta, con modi più bruschi del solito, lo mandò a visitare l'onorevole Nilde Iotti. La «compagna Nilde» che Spallone terrà in cura fino alla sua morte, a Villa Luana (che era il nome della moglie).
Da quell’ambulatorio, ha creato un impero (sei cliniche e mille dipendenti) che non ha mai scricchiolato, nonostante gli scandali. Tanti. Come quando l'allora capo dei Servizi, Giovanni Allavena, disse che Mario era un informatore del Sifar («Usava l'amicizia con Togliatti per carpire informazioni che poi girava a noi»). O come quando è finito sott'inchiesta per avere procurato un certificato medico al faccendiere Flavio Carboni (quello del caso Calvi) per evitargli una testimonianza. O come quando fu sospettato di avere implicazioni nell'evasione da Villa Gina di Maurizio Abbatino, capo della banda della Magliana. O la condanna, di suo fratello Ilio e suo figlio Marcello per gli aborti clandestini.
Era «di una semplicità che sfiora la rozzezza, di cordialità invadente» ha scritto Miriam Mafai nel libro «Botteghe Oscure, addio».

www.filtabruzzo.it ~ cgil@filtabruzzo.it