ROMA A quasi quarant’anni dall’approvazione della legge voluta dal leader Dc Flaminio Piccoli per mettere la politica al riparo dalla corruzione, il finanziamento pubblico si avvia a essere rottamato in nome di quella trasparenza che i partiti della Prima e della Seconda Repubblica non hanno saputo garantire. Nel 1993, dopo che la pentola di Tangentopoli fu scoperchiata, erano stati gli stessi cittadini a bocciare il sistema, votando in massa al referendum promosso dai Radicali: quorum del 77%, oltre il 90% di sì. Ma i partiti, spinti dall’autoconservazione, erano riusciti a dribblare il risultato referendario, sostituendo il termine “finanziamento” con l’espressione “rimborso elettorale”. Ieri, a vent’anni da quella data, il Consiglio dei ministri ha approvato le linee guida per l’abolizione di un meccanismo previsto, con discipline e con misure diverse, in tutte le grandi democrazie. «Abbiamo trovato l’accordo, ora la Ragioneria deve preparare le norme fiscali del ddl» ha annunciato il premier Enrico Letta su Twitter al termine della riunione in cui ha chiarito con toni decisi la sua scelta di accelerare: o si fa la riforma - ha detto ai suoi ministri – o i partiti saranno travolti dell’antipolitica. Il suo annuncio è stato seguito dal commento sarcastico di Beppe Grillo: «È un bluff, l’ennesima presa per il culo elettorale. Il Movimento 5 Stelle ha rifiutato 42 milioni di finanziamenti semplicemente non richiedendoli: non serve un accordo, basta la volontà». «Se è vero collaboreremo, ma mi sembra propaganda» ha detto scettica la portavoce alla Camera Roberta Lombardi. Il disegno di legge dovrebbe essere pronto entro la prossima settimana e conterrà, oltre alle norme per l’abrogazione, disposizioni per garantire la trasparenza di statuti e bilanci e la democrazia interna, la semplificazione delle procedure per le erogazioni da parte dei privati (assicurandone la tracciabilità) e misure fiscali a favore dei partiti. «È una scelta giusta – ha commentato il segretario del Pd Guglielmo Epifani – Il finanziamento c’è in tutta Europa, ma la gente non ce la fa più e serve sobrietà. L’importante è che il cambiamento sia graduale e che si possa contare su finanziamenti privati». Soddisfatto Matteo Renzi, che dell’abolizione ha fatto uno dei suoi cavalli di battaglia («Sarebbe un passo avanti»), così come il ministro della Difesa Mario Mauro, esponente di Scelta civica: era stato il governo Monti, nel luglio scorso, a dimezzare i contributi pubblici, da 182 a 91 milioni. Mario Staderini, segretario dei Radicali, ha scelto la prudenza: «Staremo a vedere, comunque il 7 giugno siamo pronti a tornare in strada per il referendum abrogativo depositato in aprile». Unica voce dissonante, Fabrizio Cicchitto, Pdl, che ha espresso «forti dubbi»: «Il risultato sarà che quattro o cinque lobby spadroneggeranno nel Paese». Ironico Antonio Di Pietro, Idv: «Finirà a tarallucci e vino». Novità in arrivo, intanto, anche sulle lobby. Letta ha presentato ieri anche le linee guida del ddl che regolamenterà l’attività dei portatori di interessi, in particolare economici. È stato rinviato al prossimo consiglio dei Ministri, invece, il dossier relativo agli ecobonus del 55% e gli sgravi del 50% per le ristrutturazioni edilizie. Il nodo è trovare le coperture: solo per prorogare di sette mesi le detrazioni, infatti, sono necessari 200 milioni di euro. Sbloccata, al contrario, l’erogazione anticipata di circa due miliardi destinati alla sanità in sei Regioni che stanno rientrando dal deficit: 540 milioni al Lazio, 118 all’Abruzzo, 500 alla Sicilia, 411 alla Calabria, 287 alla Campania e 63 milioni al Molise. L’esecutivo ha approvato tra l’altro il ddl per la ratifica dell’accordo con Albania e Grecia per la realizzazione del gasdotto Trans Adriatic Pipeline.