Nella discussione che i soci di Umbria Mobilità stanno portando avanti risulta chiaro il ruolo che il nostro partito ha giocato fin dall'inizio della crisi aziendale, rimarcando sempre l'indisponibilità a rendersi partecipe della svendita e della privatizzazione di uno dei più grandi patrimoni pubblici della nostra regione, mettendo in stretta relazione gli obiettivi di salvaguardia della società con il mantenimento in mano pubblica della stessa, con la difesa dei diritti e dei salari dei lavoratori, con il miglioramento del servizio ai cittadini, in altri termini l'o r i zzonte verso cui secondo noi devono muoversi gli indirizzi delle politica regionale. Per questo le scelte di non procedere ad alcuna privatizzazione, di non esporre la società ad operazioni di speculazione finanziaria, che tanti danni hanno fatto al sistema industriale del paese, e di verificare la possibilità della ricerca di un socio aziendale solido per il mantenimento totalmente pubblico dell'azienda sono fatti politici importanti, niente affatto scontati. La crisi dell'azienda è nata infatti da molteplici fattori che in questi mesi sono emersi nella loro drammaticità con il rischio che Umbria Mobilità venisse svenduta sul mercato libero al miglior offerente/speculatore. Questo era il percorso individuato dalle banche, sicuramente pronte ad acquistare le quote, che con i loro "chicago boys" di turno avevano prospettato la vendita di quote aziendali e di parte del patrimonio, non tenendo affatto conto del sistema di trasporto umbro, della sua complessità e delle potenzialità rappresentate dall'azienda e dopo aver rifiutato un prestito ponte che avrebbe immesso ossigeno nelle casse e maggiore tranquillità nell'a f f r o ntare il periodo. Una crisi di liquidità, quella di Umbria Mobilità, acuita dai tagli indiscriminati al fondo nazionale del trasporto da parte di Berlusconi prima e di Monti poi, fattore che ha impedito il totale raggiungimento di quegli obiettivi volti allo sviluppo che erano stati prefissati con la nascita dell'azienda unica. D'a ltronde, se al posto delle ragioni della politica avessero prevalso le esigenze di mantenimento dell'esistente sempre e comunque (a prescindere dalla qualità del servizio e dalla tutela dei lavoratori), probabilmente Apm, Atc, Fcu e Spoletina non si sarebbero mai fuse e non avrebbero mai dato vita ad Umbria Mobilità. Inoltre vanno ricordati la crisi nella quale versano gli enti locali, i "debiti romani" e i ritardi strutturali della nostra regione. Ecco, non solo i soci stanno evitando una disastrosa privatizzazione nella direzione di salvaguardare i posti di lavoro e rendere migliore il servizio, ma si è sgombrato il campo da una vendita indiscriminata di risorse patrimoniali e di quote societarie. L'Umbria ha la necessità di salvaguardare e potenziare il sistema di trasporto locale attraverso criteri stringenti e concreti: la solidità finanziaria, l'esperienza e la capacità di fornire servizi multipli così come il territorio regionale richiede (gomma, ferro e navigazione), il rispetto dei diritti dei lavoratori. Certo, il sistema umbro dei trasporti è variegato, ma può anche rappresentare una risorsa da valorizzare e non da liquidare come "economicamente svantaggioso". In questo senso le assemblee elettive, i rappresentanti dei cittadini, possono e devono fare meglio e di più. Si è fatta finalmente chiarezza sul ruolo del pubblico e sull'ormai non rinviabile piano regionale del trasporto sulle cui basi dovrà essere approntato il nuovo piano di bacino. Leggi e documenti che, svincolati dalle vicende aziendali, dovranno andare in contro alle esigenze dei cittadini e dei lavoratori sui quali sono già gravati il costo della crisi e le incertezze societarie. Questo il vero obiettivo da mettere in agenda per il mantenimento degli attuali livelli del servizio e per il suo miglioramento laddove esistono delle criticità non più rinviabili. È il caso del trasporto ferroviario da integrare maggiormente con il resto del sistema e sul quale si può costruire una strategia del trasporto dell'Italia mediana che faccia finalmente uscire l'Umbria dal suo isolamento. È vero, restano alcuni nodi di fondo che meritano, però, un approfondimento ed una discussione seri perchè è evidente che ci troviamo di fronte ad una sfida per le Istituzioni regionali e locali che implica un loro rinnovato e vero ruolo politico. È per questi motivi che posso affermare che non c'è nessuna spaccatura dentro Rifondazione comunista poiché l'interesse collettivo è quello di garantire l'a ssoluta supremazia delle assemblee elettive sul mantenimento del carattere pubblico del trasporto, sulla difesa del diritto alla mobilità di qualità per i cittadini, sulla tutela dei diritti e del salario per i lavoratori, rifuggendo, come successo troppo spesso in passato all'interno dell'azienda, da qualsiasi burocratizzazione che ha generato inevitabilmente rendite di posizione. Beninteso, questi obiettivi sono tutti da conquistare, ma i soci di Umbria Mobilità perlomeno si sono messi nella condizione di impegnarsi in tal senso: altre scelte avrebbero comportato semplicemente il fallimento dell'azienda.