ROMA Nel Paese disilluso viene punita perfino l’anti-politica. E allora: dallo tsunami grillino alla risacca a 5 Stelle. Oppure, come si sfoga sul web l’ex popolo di Beppe che prima ha cominciato a prendersela con i parlamentari («Pensano soltanto ai soldi»), poi si è disaffezionato al padre-padrone e ora ha prodotto improvvisamente e senza pietà questa Caporetto grillina: dalle stelle alle stalle. L’ascesa e la caduta del più clamoroso e spiazzante fenomeno politico di fine Seconda Repubblica, quello che doveva inaugurare la Terza e dominarla come una forza contundente («Siete tutti morti, resteremo solo noi!», il grido del guru che pareva invincibile fino a ieri), raccontano una parabola nella vita democratica che ha qualcosa di rocambolesco sia in un senso (il boom delle elezioni politiche di appena tre mesi fa) sia in quest’altro: il clamoroso dimezzamento generale, e in certi casi la semi-estinzione, dei 5 Stelle che avevano preso quasi nove milioni di voti e in queste ore li hanno sperperati in grande quantità. Le cifre romane sono l’aspetto più evidente di questa valle di lacrime: ora il 12,4 per cento dal 27,27 delle politiche (alle regionali il 20). E che dire di Brescia, città di Crimi e nemo propheta in patria (dal 16 al 7), di Siena dove Grillo credeva di fare sfracelli per Mps (e invece: dal 21 all’8), della Barletta del democrat Cascella (dal 28 all’8), di Ancona capitale del grillismo dopo Parma (e il malgoverno di Parma racconta molto del flop nazionale insieme alla Sicilia del super-potere pentastelluto nel modello Crocetta prematuramente diventato anti-modello) dove il 30 è diventato 15? Di fronte alla geografia di questa Caporetto, anticipata dal tonfo di poche settimane fa nelle regionali in Friuli, da tonfo bis per il sindaco di Udine, dal tonfo ter dell’altro giorno in Val d’Aosta, Grillo lo descrivono come furente. «Vogliono portarci alla guerra civile - sta dicendo ai suoi - e vogliono sbranarci, ma dopo l’estate si andrà a votare per le politiche e resteremo in piedi soltanto noi». Minimizza il leader («Ha perso la partitocrazia, non noi») o fa del pulp: «Ci hanno massacrato mediaticamente e questo è il risultato». Ma davvero è solo questo? Oppure hanno ragione, nell’analisi della disfatta, tutti quei parlamentari che appena hanno cominciato a vedere i numeri della sconfitta (mentre Crimi non ha visto quella di Roma: «Non commento il voto in questa città perchè non l’ho seguito») si sono chiesti: «Se siamo condannati all’opposizione, senza margini per poter stringere accordi nè in Parlamento nè a livello locale, quale sarà il destino del movimento 5 Stelle?». «Abbiamo sbagliato la strategia», si lascia sfuggire il deputato Zaccagnini (mentre lo staff della comunicazione avverte i deputati di non commentare i risultati). Da oggi i dissenzienti si faranno sentire di più. E così i dialoganti, quelli che si vogliono «scongelare», per dirla alla Enrico Letta, che hanno preso ad adorare un altro padre (Rodotà, più comprensivo di Grillo) e sono pronti a riprendere fiato dopo la debacle: Tommaso Currò, Francesco Campanella, Lorenzo Battista, e nomi così e ce ne sono tanti altri. Si cambia linea?
LA RIVOLTA
Infuria sul blog di Grillo la sollevazione contro il leader: «Adesso il vaffa te lo devi prendere tu». Militanti e simpatizzanti lo accusano di non aver voluto l’accordo di governo con il Pd («Ci hai mandato a sbattere!») e di imporre il niet alle comparsate televisive dei deputati e dei senatori (o magari i voti sono stati pochi proprio perchè qualche onorevole grillino in tivvù compare, mostrandosi poco attrezzato?). Ce l’hanno con Grillo, ma non solo con lui. Scrive un certo Nino: «Beppe digli, ai quei quattro stronzi che abbiamo mandato in Parlamento, di mettersi a lavorare. Ricordagli che sono dei miracolati di San Grillo». «Quanti voti ci ha fatto perdere - insorge un tale Antonio Filigheddu - Roberta Lombardi e Vito Crimi?». Sfoghi così. Il brusco ritorno del pianeta 5 Stelle sulla terra lo hanno provocato la qualità pallida (come De Vito) dei candidati messi in campo, il fatto che Grillo non abbia mai parlato di problemi locali nei suoi comizi ripetendo il solito canovaccio, l’astensionismo che adesso ha preso a colpire pure l’anti-casta considerata casta, la non soluzione dei problemi economici del Paese da dentro il Palazzo che corrompe (e dove «i nostri onorevoli sono rivoluzionari degli scontrini»), i no a tutto e a tutti, le divisioni tra gli eletti tipiche degli odiati partiti tradizionali. E così via. Come spiega il sondaggista Roberto Weber: «I cittadini si aspettavano cambiamento dai 5 Stelle. Non lo hanno visto e li hanno puniti alla prima occasione». Mentre ora sono partite l’opa o le carezze ai 5 Stelle da parte del Pd contrario alla larghe intese (da Civati a Marino che subito promette: «Faremo nostri i vostri temi»). C’è Vendola che fa le fusa da padre buono contro quello arcigno (Grillo) e dice: «Ora diventate adulti e innalzate i vostri pensieri». E Renzi, l’anti-autoblù e anti-soldi ai partiti, che fa il seducente: «Chi ha votato 5 Stelle oggi è contento?». Ieri si è riaperto di fatto il mercato della protesta. E vogliono lavorarci tutti quanti.