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Pescara, 18/12/2025
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Data: 02/06/2013
Testata giornalistica: Il Messaggero
«Lavoro, 63 anni per cancellare la crisi».L’allarme lanciato da uno studio della Cgil: senza interventi straordinari l’occupazione pre-recessione tornerebbe nel 2076»

ROMA Se non ci sarà una svolta nella politica economia, in Italia e in Europa. E se davvero il ritmo di crescita sarà quello già previsto per il 2014 allora gli italiani sono avvisati (governo in primis) il nostro Paese ci impiegherà tredici anni per ritornare al livello del Pil del 2007. E ci vorranno ben 63 anni per ritrovare lo stesso livello occupazionale. È questo il quadro drammatico tracciato da uno studio dell’Ufficio economico della Cgil.
Si tratta di una simulazione, certo, (non ha dietro analisi economiche) ma serve a dare un’idea precisa di cosa rischierebbe l’Italia se per inerzia si procedesse nella situazione attuale. Un modo per dimostrare la necessità di «un cambio di paradigma: partire dal lavoro per produrre crescita». Lo studio della Cgil parte, infatti, dalla situazione di contesto. Dal 2008 ad oggi il Pil del Paese ha perso mediamente 1,1 punti percentuali ogni anno, a fronte di una perdita dei posti di lavoro di oltre 1,5 milioni rispetto al 2007. Per i salari lordi il calo è dello 0,1% ogni anno (quelli netti lo 0,4%), con una produttività mediamente negativa dello 0,2% con e investimenti in flessione di 3,6 punti all’anno. Un quadro pesante che incrociato con le previsioni macroeconomiche elaborate dall’Istat porta a concludere quanto tempo ci vorrà ancora per parlare di ripresa e recuperare il livello pre crisi. Tutto questo, a prescindere dalla congiuntura internazionale.
I NUMERI
Risultato? Lo studio della Cgil sentenzia che, proiettando nel tempo la ripresa prevista dall’Istat, ovvero moltiplicando il tasso previsto per il 2014 (pari a un +0,7%) fino a raggiungere il livello 2007, il livello del Pil pre-crisi verrebbe recuperato non prima del 2026. Come dire che ci vorranno ben 13 anni, se le cose non cambieranno, per tornare indietro alla crescita conosciuta prima del fallimento di Lehman Brothers, per colmare il gap di 112 miliardi tra il Pil del 2014 (1.380 miliardi) e quello del 2007 (1.492 miliardi). Non solo. La macchina del tempo messa in piedi dalla Cgil arriva anche a concludere che l’occupazione spazzata via a partire dalla crisi americana dei mutui subprime (appunto a fine 2007) non tornerebbe prima del 2076. In altri termini, si possono veder passare anche tre generazioni (63 anni) prima di tornare alle 25.026.400 unità di lavoro del 2007, dalle 23.531.949 del 2014 (-1.494.451 la differenza). E mentre sembra che non si recupererà mai il livello dei salari reali («in confronto con l’inflazione effettiva, cioè il deflatore dei consumi, la variazione è negativa nel 2014») il livello di produttività verrebbe recuperato nel 2017 (in 4 anni) e quello degli investimenti nel 2024 (11 anni).
E se la crisi non ci fosse stata, azzarda lo stesso studio? Il livello potenziale di crescita che si sarebbe registrato è pari a 276 miliardi di euro di Pil. In termini nominali, si parla di una perdita superiore a 385 miliardi, circa il 20% del Pil.
IL DIVARIO NORD-SUD
È, invece, il Report Sud di Diste Consulting-Fondazione Curella a raccontare, fotografando il passato, fino a che punto la disoccupazione ha spaccato in due l’Italia negli ultimi anni. «Nei cinque anni di crisi», dice il report, «i posti di lavoro distrutti nel sistema produttivo del Sud e delle Isole sono stati in totale 335.500 a fronte dei 12.400 creati nell’area centro settentrionale». Tanto che a fronte di un tasso di disoccupazione del 17,2% nel Mezzogiorno (dati 2012), il Centro Nord se la cava con l’8% (il Pil è sceso 3,4% contro il 2% al Nord).
Numeri pesanti. E non a caso è proprio «per la crescita e l’occupazione, non meno che per il risanamento finanziario» che il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, avverte: «Ognuno deve fare la sua parte, perchè è decisivo l’apporto di tutti». Parole che accompagnano un nuovo monito, il terzo in pochi giorni, sull’emergenza lavoro: «Ci si sta muovendo seriamente in direzioni nuove anche in Europa, dove ormai si impone all’ordine del giorno come problema numero uno quello del creare occasioni e prospettive di lavoro per vaste masse di giovani che ne sono privi». «Viviamo con profonda preoccupazione», aggiunge il presidente, «il protrarsi e l’aggravarsi della recessione, la crisi diffusa, in molti casi drammatica, delle imprese e del lavoro».

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