ROMA Si torna a parlare di partito e di partiti. Incredibile ma vero. Leggeri, pesanti, personali, ma sempre partiti. E’ accaduto all’Eliseo, complice la presentazione dell’ultima fatica letteraria di Walter Veltroni (”E se noi domani”), che ha fornito spunti di riflessione e anticipazioni di quel che sarà il confronto interno al Pd in vista del congresso prossimo venturo. Ha cominciato Guglielmo Epifani, metaforicamente assiso all’estremità opposta rispetto a Sergio Chiamparino, due possibili competitor della leadership democrat, ma entrambi ”in attesa”, uno, l’ex sindaco di Torino, del disco verde di Matteo Renzi, l’altro, l’attuale segretario, che a parole si è già autoescluso dalla contesa («il mio mandato scade al congresso», ha detto nei giorni scorsi, ma chissà, se il partito glielo chiedesse...). (Gli altri partecipanti erano Laura Boldrini ed Eugenio Scalfari).
Epifani ha messo subito i piedi nel piatto, spiegando come intende caratterizzare la sua leadership sia pure circoscritta nel tempo: rilancio del Pd, no a ipotesi di partiti leggeri, ricerca e riacquisizione di una identità forte e marcata. «Viviamo in un tempo nel quale tutto è ridotto al presente, non c’è più progetto, non c’è più visione», l’esordio del segretario del Pd, che subito dopo entra dritto in tema: «Ma chi può dare visione e progetto se non il partito politico?». Non tutti i partiti, però. Per Epifani, «escluso il Pd, tutti gli altri sono partiti personali, che nascono e muoiono con la storia dei rispettivi leader», una cosa negativa assai, secondo il segretario democrat, tanto da farlo parlare di «natura antidemocratica» e di «rischio democratico» a proposito di questi partiti personali. Non che il Pd viva una stagione migliore, non sarà un partito personale, ma «ha certamente una straordinaria debolezza identitaria», alla quale Epifani intende porre una qualche toppa se non soluzione destinata a durare. E infatti elenca tre punti, tre regole, che fanno sì che un partito venga magari definito leggero, «ma sempre partito dev’essere». Punto primo: «Adottare il principio di maggioranza», per cui si discute ma alla fine si decide e la minoranza si attiene alla maggioranza, un po’ quel che è successo sulla legge elettorale con annessa mozione Giachetti; secondo: d’accordo avere un leader forte, «ma attorniato da organi collegiali», non l’uomo solo al comando; terzo: «ci vuole un senso di fraternità e comunità» che distinguono un partito da un semplice spazio pubblico.
Partito leggero? Partito pesante? La discussione non appassiona più di tanto Veltroni, che a suo tempo fu accusato di troppa leggerezza a proposito del suo Pd. «Un partito leggero non so che cosa sia, quel che so è che quello pesante è andato a fondo», la tesi veltroniana che suona come una rivincita postuma. L’ex sindaco fa capire che dopo il Pd non può che esserci il Pd, «che è il compimento di un lungo cammino della sinistra». Poi, a sorpresa, l’affondo su Renzi. Premessa: «Non si può pensare di prendere i voti della destra strizzando l’occhio, facendo i furbi e camuffandosi». Seguito con rasoiata: «Renzi lo seguo, per tante cose che dice avrei da rivendicare i diritti d’autore, ma quando si incontra con Briatore non ci capiamo più». Un sassolino da togliersi o l’annuncio di una nuova strategia pre-congressuale?
Chiamparino ha richiamato il bisogno di identità stando attenti, ha avvertito riecheggiando un assioma del renzismo, a «non coltivare soltanto il nostro elettorato, altrimenti non si va lontano». Boldrini ha rimproverato la sinistra di aver lasciato spesso soli quanti operavano nel sociale. Scalfari ha definito «una sciocchezza» la rottamazione solo per via anagrafica, rivelando poi di aver votato monarchia al referendum