ROMA «Il contenuto di quella telefonata venne sfruttato politicamente». E’ quanto scrivono i giudici della quarta sezione penale del tribunale di Milano nelle motivazioni della sentenza di condanna, emessa il 7 marzo scorso, nei confronti dell’ex premier Silvio Berlusconi ad un anno di reclusione e del fratello Paolo (a due anni e tre mesi) per concorso in rivelazioni del segreto d’ufficio. La telefonata che fu usata «politicamente» è quella intercettata il 18 luglio 2005 tra Piero Fassino, allora segretario Ds, e Giovanni Consorte, numero uno di Unipol quando il colosso assicurativo e bancario era nel pieno del tentativo di scalata a Bnl. «Abbiamo una banca?», chiedeva Fassino a Consorte. La telefonata apparve sul quotidiano il Giornale, il 31 dicembre 2005. Per i giudici milanesi anche il periodo di pubblicazione non è causale, «a quattro mesi dalle elezioni e nel pieno delle vacanze natalizie, periodo di scarsa affluenza di notizie politiche più importanti. L’interesse politico delle intercettazioni era evidente». Ancora una volta, dunque, i magistrati emettendo una sentenza di condanna contro Silvio Berlusconi ne hanno sottolineato il ruolo politico ricoperto nel momento in cui ha commesso il reato. Solo il 23 maggio scorso sono state pubblicate le motivazioni della sentenza di secondo grado per frode fiscale nel processo-Mediaset che ha inflitto all’ex premier 4 anni di carcere e 5 di interdizione dai pubblici uffici. Al centro dell’inchiesta, una maxi evasione da 7 milioni di euro pagata da Mediaset per ottenere i diritti televisivi sull’acquisto di film. Per i giudici della seconda sezione della Corte d’Appello di Milano, Berlusconi «decideva su Mediaset anche da premier». Delusione e rabbia da parte del Cavaliere per quella che considera una «persecuzione» della magistratura che, secondo lui, vuole eliminarlo dalla scena politica. E’ un calendario giudiziario implacabile quello che ha davanti l’ex premier in attesa di un’altra sentenza, quella del processo Ruby dove è accusato per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile prevista il 24 giugno. Ma a preoccupare il Cavaliere è la data del 19 giugno quando la Corte Costituzionale dovrà pronunciarsi sul legittimo impedimento del processo Mediaset, il cui esito negativo potrebbe aprire alla conferma dell’interdizione. Ieri gli avvocati dell’ex premier hanno cavalcato le tesi «complottistiche» e gli «intenti punitivi di segno politico» dei magistrati. Intanto però hanno incassato un punto a favore dei giudici: la Cassazione ha respinto la richiesta di ricusazione del giudice Maria Teresa Guadagnino che ha condannato il Cavaliere sul caso Unipol e presente anche nel processo Mediaset. Dunque per i giudici, la sera di Natale 2005 l’allora presidente del Consiglio quando ricevette dai suoi ospiti come regalo un’intercettazione non ancora depositata agli atti di un’inchiesta in cui Fassino chiedeva a Consorte «Abbiamo una banca?» non era affatto appisolato, come era stato detto durante il processo. Non solo. La pubblicazione della telefonata aveva bisogno del suo via libera per «la sua qualità di capo della parte politica avversa a Fassino». Lette le motivazioni, i colonnelli del Pdl hanno minacciato di far saltare il governo delle grandi-intese. Minacce rispedite al mittente dal segretario dei Ds Epifani che si dice pronto a tutto se Berlusconi fa saltare il tavolo e ha parlato «del problema dell’affidabilità nel rapporto tra problemi personali e interessi del Paese, sospesi tra due sentenze».