ROMA Epifani si dà da fare, dopo oltre un mese che è stato eletto è riuscito a varare la sua segreteria che non ha scontentato nessuno ma è stata accompagnata da frizzi e lazzi del giorno dopo. La palma va senz’altro a Antonello Giacomelli, franceschiniano, con il suo «manca solo un rappresentante dei kolchos sovietici e il riequilibrio a sinistra sarebbe stato più completo», seguito da una deputata volutamente anonima che avrebbe individuato tra i quindici componenti il nuovo vertice «almeno sette dei 101 franchi tiratori che hanno bocciato Prodi». Misteri del Pd post elezioni, occupato come non mai a preparare il congresso che dovrà decidere, oltre alla linea, il leader e i futuri assetti. Guglielmo Epifani ha ripetuto che non intende ricandidarsi, aggiungendo comunque che «qualche risultato si comincia a vederlo», alludendo al primo turno amministrativo andato molto bene per il Pd, non sarà ancora un effetto Epifani, ma neanche il contrario. Al punto che il segretario fissa già l’asticella in vista dei ballottaggi: «Se riconquistiamo Roma, Siena e Brescia sarà un risultato importante».
Chi si sta spendendo in giro per i candidati democrat, manco fosse il leader, è proprio Matteo Renzi, l’uomo attorno al quale si aggira il dibattito e il posizionamento pre-congressuale del Pd, se si candiderà o meno alla segreteria, e quando, e come. A un comizio a Lodi lo hanno pure chiamato «segretario», e lui ha risposto con un secco «vedremo», anche se poi a quattr’occhi ai suoi l’ha messa così: «A Roma sappiano che potrei proprio candidarmi alla segreteria». Tra i renziani il dibattito è più che mai aperto, con una parte che tira verso la candidatura alla segreteria e un’altra che tira in senso inverso. Tra i primi c’è senz’altro Dario Nardella, secondo il quale «leadership significa coraggio, Matteo può farcela, sono sicuro che quando deciderà lo farà con convinzione e senza se». La tesi dei contrari è che, una volta diventato segretario del Pd, Renzi perderebbe gran parte dell’attrattiva rispetto ai voti moderati e di centrodestra, «verrebbe visto come l’ennesimo leader del partito dei post comunisti», l’argomento degli scettici.
«NON CERCO POSTI»
E lui, Renzi? Ripete di non voler passare «come uno in cerca di posti», dopo di che a quanti gli stanno vicino è apparso sempre più convinto di fare il leader, ma sarebbe arrivato a questa conclusione: «Prima di settembre non sciolgo alcuna riserva», anzi, ancora più netto, «decido solo dopo l’estate». Che è già qualcosa rispetto a questo sfogliare la margherita più o meno giornaliero. Interviene anche sulle riforme, Renzi, e gela Berlusconi sul presidenzialismo, «prima la legge elettorale», ma una frenata è anche sul fronte interno, dove il sindaco non si allinea ai sostenitori del sistema francese (prodiani, veltroniani e parte di dalemiani). Su questi temi, ma soprattuto in chiave interna, la corrente bersaniana l’altro giorno si è riunita e ha varato un documento pre-congressuale di sei pagine dove si dice che la risposta alla crisi del Pd non sta nel ritorno alle vecchie case di appartenenza o nella diaspora. La maggioranza uscente Bersani-Letta-Franceschini punta alla propria perpetuazione anche al prossimo congresso, e al momento non ci sono altri candidati in vista oltre a Epifani, quamquam reticente.