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Data: 13/06/2013
Testata giornalistica: Il Messaggero
Intervista a Enrico Giovannini - «Disoccupazione e giovani pronto un intervento choc»

ROMA «Non sarà un intervento irrilevante». Non anticipa cifre Enrico Giovannini, le variabili sul tavolo sono ancora tante, a partire dalla flessibilità sull’utilizzo delle risorse dei fondi europei che Bruxelles vorrà concederci. Ma su una cosa rassicura: il piano per far ripartire l’occupazione che il governo presenterà entro fine giugno conterrà misure incisive, sarà la terapia d’urto che il Paese attende. «In questo momento abbiamo un colpo solo e dobbiamo centrare l’obiettivo. Questo non toglie che poi nell’autunno, penso alla legge di stabilità, possiamo averne altri. Ora è uno e non possiamo sbagliare. Il governo sente fortissima la responsabilità di dare risposte alle centinaia di migliaia di disoccupati, inattivi, poveri. Ma anche le imprese devono fare la loro parte».
Ministro, a che punto è il piano per il lavoro?
«Siamo nella fase di definizione degli interventi e di verifica delle disponibilità finanziarie. La quadratura del cerchio è piuttosto complessa, perché il governo ha scelto di non fare la tipica manovra di metà anno e quindi dobbiamo operare a risorse date. E molte di queste risorse, penso soprattutto ai fondi europei, non sono nella disposizione del governo, ma delle Regioni».
Può fare una quantificazione delle ”risorse date”?
«Non in questo momento. Ci sono ancora incontri tecnici in corso. Posso però dire che non stiamo parlando di qualcosa di irrilevante. Sui fondi europei, ad esempio, ci sono residui importanti del programma 2007-2013 che però hanno vincoli di tipo territoriale, finanziario e di strumento che può essere usato. Riuscire a orientare una parte di queste risorse verso programmi a favore dell’occupazione sarebbe molto importante».
Serve il via libera della Ue?
«Si, e anche quello delle Regioni. Per questo dicevo che l’operazione è molto complessa».
Sarà uno dei temi di cui parlerete nel vertice di domani qui a Roma con i ministri del Lavoro e delle Finanze di Spagna, Francia e Germania?
«Non tutti i Paesi hanno residui così ampi come noi e quindi non è detto che ci sia questa sensibilità. Diverso è il discorso della ridestinazione dei nuovi programmi, 2014-2020, vero politiche dell’occupazione e sociali. Di questo sicuramente parleremo domani al vertice, sperando di arrivare ad una posizione comune. Però non dobbiamo pensare soltanto ai fondi pubblici perché altrimenti, con i limiti finanziari che abbiamo, non potremmo produrre quella scossa di cui il sistema ha bisogno. Anche le imprese devono fare la loro parte. Non dimentichiamo che i posti di lavoro li fanno le imprese».
Ma le imprese dicono di essere allo stremo.
«Non tutte. Ci sono imprese che in questi anni, soprattutto quelle orientate alle esportazioni, sono cresciute. Ci sono tante imprese industriali che anche sul mercato interno hanno conseguito risultati interessanti nonostante gli anni di crisi. E ci sono purtroppo tantissime imprese che sono in gravissime difficoltà. Infine c’è una quarta categorie di imprese che ha idee e vorrebbe investire ma è in attesa che il ciclo economico volga verso il bello. Queste sono le opportunità che dobbiamo riuscire a cogliere».
Come intendete stimolarle ad assumere? Si parla di credito di imposta, decontribuzione, riduzione del cuneo fiscale: qual è lo strumento che in questo momento, a risorse date, ha più chance?
«Non c’è un solo strumento. Fluidificheremo alcuni aspetti della flessibilità in entrata, in particolare sui contratti a termine e sull’apprendistato, con una particolare attenzione ai giovani. Stiamo pensando di ridurre a zero la pausa tra un contratto e l’altro per i più giovani. Sperimenteremo, per un certo periodo che coincide più o meno con quello dell’Expo 2015 e delle scadenze dei fondi comunitari, forme di flessibilizzazione e di incentivi per la trasformazione dei contratti a tempo indeterminato».
Ci potrebbe essere qualche misura sull’occupazione già nel prossimo consiglio dei ministri con il cosiddetto decreto del ”fare”?
«Noi interverremo certamente prima del vertice europeo del 27-28 giugno. Stiamo lavorando intensamente».
Sarà un pacchetto in grado di dare uno choc positivo?
«È esattamente quello che abbiamo intenzione di fare».
Ne farà parte anche la riforma dei servizi per l’impiego?
«È un tema molto complicato perché le competenze sono non solo dello Stato, ma anche di Regioni e Province. Non è qualcosa che lo Stato centrale può decidere a suo piacimento. Non tutto può essere fatto attraverso un decreto che verrebbe immediatamente impugnato davanti alla Corte Costituzionale se violasse le prerogative di altri soggetti sul territorio. Però è evidente che bisogna fare qualcosa urgentemente. Noi spendiamo circa mezzo miliardo di euro l’anno, mentre i nostri vicini come la Francia, spendono 5 miliardi: solo un miracolo potrebbe far funzionare questi centri per l’impiego come vorremmo su tutto il territorio nazionale. La riorganizzazione delle politiche attive rientra anche nella sfida impegnativa che ci pone il programma europeo denominato Youth Guarantee: mettere su un sistema che possa offrire ai giovani, entro 4 mesi dalla conclusione del percorso formativo, un’opportunità vera di crescita professionale».
Ministro, bene che vada la quota spettante all’Italia dello Youth Guarantee, sarà di 4-500 milioni di euro a partire dal 2014. Non è poco, visti gli obiettivi ambiziosi?
«A quella cifra andrebbe aggiunto un cofinanziamento nazionale. Certo anche così, resteremmo lontani dalle cifre messe in campo dagli altri. Dobbiamo però immaginare una strategia che coinvolga non solo il pubblico, ma anche i privati».
La staffetta generazionale è ancora tra le vostre ipotesi?
«La staffetta ha costi alti e anche difficilmente quantificabili a priori, perché dipendono dalle scelte individuali delle persone. Di fronte a risorse limitate dobbiamo valutare bene i vantaggi e gli svantaggi».
In passato non ha funzionato.
«Ci sono delle condizioni diverse. Perché la riforma delle pensioni obbliga tutti a lavorare cinque anni di più. E questo non è irrilevante».
Dal tono con cui ne parla, sembra che l’ipotesi la alletti.
«Si è vero. È chiaro che due part-time non aumentano la quantità di ore complessivamente lavorate rispetto a un solo lavoro full-time. Ma in Italia ci sono due milioni e duecentomila Neet, giovani che non studiano, non si formano e non lavorano. Più il tempo passa e più il loro capitale umano si depaupera. Mobilizzare anche part-time una parte di questi ragazzi ha un effetto positivo di lungo periodo. È comunque un tema che affronteremo quando apriremo il capitolo delle eventuali limitate modifiche alla previdenza. Ovvero in autunno».
A proposito di pensioni, si andrà verso una flessibilizzazione dei tempi di uscita?
«Lo ha già detto il presidente del Consiglio nel discorso su cui ha avuto la fiducia, sottolineando come l’eventuale anticipo, limitato temporalmente, deve prevedere una penalizzazione così da assicurare la stabilità finanziaria. La riforma delle pensioni ha consentito di conseguire la sostenibilità della finanza pubblica e questo risultato va salvaguardato senza cedimenti».

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