Dopo il decreto del fare, l’esecutivo a caccia di risorse per evitare il peggio Nel 2013 venduti solo 52 beni tra quelli pignorati. Giustizia, avvocati contro
ROMA Varato il decreto del fare, con una pioggia di stimoli all’economia e alle famiglie, il governo punta l’obiettivo grosso: non aumentare l’Iva e abolire l’Imu sulla prima casa. Ci vogliono in tutto 8 miliardi. Quattro per l’Imu a e altrettanti per sterilizzare l’aumento dell’Iva. Soldi che però allo stato sembrano introvabili, tanto che il responsabile del Tesoro Saccomanni avverte: ci vorrebbero misure «severe» per reperirli. Il dibattito si alimenta. Gli economisti Alberto Alesina e Francesco Giavazzi spingono: «La spesa pubblica al netto degli interessi e della spesa per prestazioni sociali somma (dati 2012) è di 351 miliardi di euro. Possibile - si chiedono - che su 351 miliardi di euro di spese non se ne trovino 8 da tagliare?». E ancora «si stima che le imposte evase sommino a 120-150 miliardi l’anno. Possibile che non si possa recuperare qualcosa di più di quanto già fatto, ad esempio usando meglio gli incroci fra banche dati?». Ma Regioni, Province e Comuni dichiarano oggi di essere al collasso e di non poter erogare addirittura i servizi base ai cittadini. La sanità è impegnata nei piani di rientro, le pensioni (più alte) pagano già un contributo di solidarietà mentre quelle più basse hanno dovuto rinunciare alla rivalutazione (decreto Salva-Italia). La scuola si dibatte tra classi sovraffollate, insegnanti di sostegno che mancano e contributi che sempre più spesso arrivano dagli stessi genitori. E pure il pubblico impiego è già stato scandagliato con blocchi del turn over e degli scatti. Dunque? Gli stessi Alesina e Giavazzi indicavano giorni fa un’altra strada: «Occorre negoziare con l’Ue un temporaneo superamento della soglia del 3%» del rapporto deficit-Pil. Ma su questo il premier Enrico Letta al momento è irremovibile: l’Italia manterrà i suoi impegni, resterà sotto il 3% nel rapporto deficit-pil «senza fare debiti». Per ora gli italiani tirano un sospiro di sollievo: la prima casa non sarà più pignorabile e cedibile all’asta dall’amministrazione; ci saranno fino a 10 anni per pagare il conto al fisco (e dopo 8 rate saltate, non 2 come era) ed è in arrivo la revisione del finanziamento a Equitalia (attualmente è l’8% di aggio sulle somme riscosse). Ma nel 2013 le vendite effettive di beni pignorati, tra case, auto, barche, sono state appena 52. Ora comunque si prevede che se l’unico immobile di proprietà del debitore è adibito ad abitazione principale, non può essere pignorato, ad eccezione dei casi in cui l’immobile sia di lusso o villa o castello. Per tutti gli altri immobili, il valore minimo del debito che autorizza il riscossore a procedere con l’esproprio dell’immobile, è stato innalzato da 20mila a 120mila euro. Altra novità introdotta con il decreto è l’allungamento dei tempi per pagare i debiti fiscali. Attualmente era prevista la possibilità di rateizzare (in modo semplice sotto i 50.000 euro) per 72 mesi (rinnovabili per altri 72 se la situazione del contribuente peggiorava). Ora si arriva fino a 120 rate (ben 10 anni) e si perde il beneficio se si saltano non più 2 rate ma 8. Una buona notizia questa considerato che ad oggi sono circa 2 milioni gli italiani che sono ricorsi alla rateizzazione per un totale di 22 miliardi di euro. I commenti del giorno dopo sono in gran parte positivi. «Tanto fumo, poco arrosto», dice Maroni, ma riconosce la bonta della misura sulla prima casa. Merito di Berlusconi, incalzano i pidiellini. Di fatto nessuno si è detto contro. «Leggendo il decreto del fare troviamo dentro una serie di proposte che hanno fatto parte del nostro programma quali impignorabilità prima casa, sblocco di fondi della Cassa depositi e prestiti per finanziare piccole e medie imprese e rilancio dei fondi di garanzia, wifi libero, ecc. ecc», commenta il senatore del M5S, Vito Crimi, Nel decreto c’è anche lo strattone energico alla macchina giustizia per smaltire le cause civili con il massiccio ricorso alla mediazione obbligatoria. Gli avvocati sul piede di guerra contro questa decisione (che toglie loro lavoro). Secondo il Governo, il provvedimento consentirà nei prossimi 5 anni di abbattere il contenzioso civile con il taglio di un milione e 200mila pendenze complessive. L’associazione Avvocati per la mediazione (Apm) parla di «vittoria».