TERAMO Dalle società cipriote con i conti svizzeri alla vendita del Lido Atlantic di Roseto: nella matrioska del crac Di Pietro, la bancarotta milionaria che oltre un anno fa portò ad una raffica di arresti, i testi del pm Irene Scordamaglia danno corpo e volto alle accuse della procura in una complessa ricostruzione di passaggi societari, fallimenti e compravendite davanti al collegio presieduto da Giovanni Spinosa. Nella settima udienza del processo reggono la scena l’imprenditore Alberto Rapagnà e un funzionario della Colombo fiduciaria di Lugano. Rapagnà in aula racconta di quando nel 2008 vendette la concessione del lido alla società Kappa Immobiliare e cita il nome del commercialista Carmine Tancredi, indagato in un procedimento connesso per concorso in bancarotta. Tancredi, socio di studio del governatore Gianni Chiodi (che è del tutto estraneo alla vicenda), è uno dei consulenti degli imprenditori arrestati Maurizio Di Pietro e Guido Curti che, insieme a Nicolino Di Pietro, sono a processo con il rito immediato per una prima tranche delle accuse che li riguardano in merito alla bancarotta che, secondo la procura, oscilla dai 15 ai 18 milioni. Dice Rapagnà in aula: «Per avviare una trattativa sull’acquisto del Lido Atlantic nel mio ufficio venne Maurizio Di Pietro per conto della società Mg immobiliare. La scrittura per il compromesso la fece Carmine Tancredi. Il costo è stato di 380mila euro, tutti pagati con assegni circolari. Avevamo ricevuto l’intera somma ma non sapevamo a chi intestare la fattura. Fu Tancredi a comunicarmi di intestarla alla Kappa Immobiliare». La sua segretaria aggiunge: «il giorno della stipula dell’atto dal notaio c’erano Maurizio Di Pietro, Tancredi e il legale rappresentante della Kappa Spinetti». Carlo Gimignani è il funzionario della Colombo finanziaria, la società fiduciaria di Lugano a cui Maurizio Di Pietro e Guido Curti si rivolgono per costituire delle società immobiliari. Si tratta di società cipriote che, secondo l’accusa, controllavano al 99% le società Kappa e De Immobiliare e che erano le tappe finali dei soldi provenienti dai fallimenti delle quattro società svuotate dai beni e fatti rientrare in Italia dopo un giro su conti esteri. Dice Gimignani: «Nel mio lavoro ho incontrato prima Maurizio Di Pietro e poi Curti per costituire delle società. Le società cipriote finanziavano le società italiane attraverso dei conti correnti bancari aperti a Lugano e Londra. Su questi conti, intestati alle società, sono stati movimentati circa un milione e 200mila euro: 900 da parte di Di Pietro (che in aula nega ndr), 200 da parte di Curti. Le società venivano gestite dall’Italia perchè noi non abbiamo alcuna autonomia decisionale. Le istruzioni le davano Curti e Di Pietro». E a domanda di uno dei difensori aggiunge: «non ci sono mai state disposizioni per soldi da parte di Carmine Tancredi». Si torna in aula il 16 settembre con l’audizione di Igor Catania, il consulente della pubblica accusa. Per quella data sarà definito anche l’altro procedimento, quello che riguarda il grosso dell’inchiesta(per cui c’è l’avviso di conclusione delle indagini e non ancora la richiesta di rinvio a giudizio o d’archiviazione) che coinvolge altri sette indagati, tra cui Tancredi.