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Data: 20/06/2013
Testata giornalistica: Rassegna.it
In piazza il 22 giugno: le proposte dei sindacati

Tutti parlano di emergenza lavoro, comprese aziende e governo. Ma per affrontare davvero il problema, occorrono sia misure immediate che altre di lungo respiro. Ecco le proposte

Non c’è più tempo da perdere. In Italia e in Europa, la crisi non passa e sembra volgere verso un altro drammatico capitolo. La catastrofe in cui versa il lavoro va fermata subito se si vuole ritrovare la ripresa. Ne è certo il sindacato, che manifesterà unitariamente il 22 giugno. Ne sono consapevoli la Confindustria e le altre associazioni datoriali, che parlano apertamente di emergenza occupazionale, di “crisi di domanda” e della necessità di nuovi mercati. Sembra ne sia cosciente anche il governo, che dice di porre l’occupazione e i giovani come priorità.

Ecco allora che, per uscire dalla spirale recessiva e depressiva, in cui le stesse politiche di austerità hanno portato l’Italia, Cgil, Cisl e Uil, insieme, rivendicano misure immediate per l’emergenza e nuove politiche per la ripresa. L’iniziativa unitaria sulle ragioni del lavoro giunge dopo anni di difficoltà, che la consapevolezza della profondità della crisi, la necessità di nuove sfide e le ritrovate condizioni di dialogo con Confindustria hanno superato con la riunione degli organismi direttivi dei tre sindacati il 30 aprile scorso e con l’accordo unitario sulla rappresentanza siglato il 31 maggio.

Intanto, in tutta Italia, si stanno svolgendo numerose iniziative unitarie a livello territoriale, regionale e di categoria, in preparazione proprio della mobilitazione nazionale, che per questo può essere interpretata come l’avvio di una nuova fase e la richiesta di un cambiamento, la cui strategia fondante è proprio la centralità del lavoro, non solo come identità e cittadinanza: in altre parole, difendere, rigenerare e ricreare l’occupazione, anche per sostenere salari e pensioni, rilanciare i consumi, programmare nuovi investimenti pubblici e creare le condizioni per quelli privati, nutrire la coesione sociale, la fiducia nelle istituzioni.

Le tre organizzazioni, allora, chiedono innanzitutto misure e risorse adeguate ad affrontare l’emergenza occupazionale e a difendere il lavoro, a partire dal finanziamento degli ammortizzatori in deroga: il governo, con un provvedimento “tampone”, ha sbloccato 780 milioni di euro già previsti dalla Legge di stabilità – riorganizzando fondi già destinati in modo diverso al lavoro – per far fronte a 250 milioni di impegni del 2012 ancora scoperti e per le esigenze ancora da soddisfare del 2013, a cui si aggiunge circa un altro miliardo di euro, per ora solo sulla carta, non a disposizione delle casse delle Regioni, che nondimeno ritengono che tali finanziamenti siano utili solo per arrivare fino a luglio e stimano un’esigenza complessiva ben superiore (2,7 miliardi di euro per il 2013).

Va inoltre sottolineato come i ritardi dei pagamenti dell’Inps lascino scoperte oltre 500.000 persone tra cig e mobilità. Alla stessa stregua, andrebbe prevista l’effettiva salvaguardia degli esodati – su cui per giunta è annunciato un rinvio del confronto a settembre –, per i quali corre l’obbligo di costituire una norma di completamento delle salvaguardie, che tolga dall’incertezza e dall’angoscia migliaia di lavoratori, eliminando tutti i paletti e i filtri introdotti dai vari decreti Fornero, che hanno prodotto la paradossale situazione per cui le domande dei lavoratori non coprono la disponibilità già finanziata.

L’apparente ridimensionamento della platea degli esodati lascia ancora fuori dalla tutela oltre 200.000 persone, senza contare nel futuro i lavoratori che si aggiungeranno con l’esaurirsi degli ammortizzatori sociali o le iniquità che genererà il nuovo sistema di protezione sociale previsto dalla legge 92/12. In tal senso, ci vuole un vero confronto per la rivisitazione dell’intera riforma e vanno affrontate e corrette anche le altre iniquità della legge Fornero sulle pensioni, dettate da un cambio in corsa delle regole del gioco (brusco aumento dell’età di pensionamento, senza tener conto della fatica del lavoro, della diminuzione dei coefficienti di trasformazione ecc.), che ha causato drammatici problemi e diviso ingiustamente lavoratori e lavoratrici, generazioni e famiglie.

Persino Assolombarda ha chiesto la moratoria della riforma per l’industria, affinché le riorganizzazioni d’impresa non vengano realizzate espellendo prima i giovani (perché con meno carichi familiari). La riforma, peraltro, produrrà nei prossimi anni tutti risparmi a carico dei lavoratori e dei pensionati, visto anche il blocco della rivalutazione annuale. In questo contesto, la forbice delle disuguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza del nostro paese si è allargata nella crisi, portando più inefficienza e iniquità nel sistema economico di quanta già non ce ne fosse, oltre che un ulteriore e drammatico aumento del disagio, della deprivazione e dell’esclusione sociale, a cui occorre rispondere individuando uno strumento di contrasto alla povertà. Per correggere le iniquità e le distorsioni del sistema fiscale occorre spostare il peso del prelievo e alleggerire le spalle dei lavoratori e dei pensionati, su cui da 30 anni grava il grosso delle entrate dello Stato.

Per ridare slancio all’economia è necessario, dunque, riequilibrare il prelievo tributario, svolgendo innanzitutto una vera lotta all’evasione e all’elusione fiscale per un fondo nazionale dedicato alla restituzione fiscale, ossia all’immediata riduzione delle tasse per i lavoratori dipendenti, i pensionati, ma anche per le imprese che faranno assunzioni a tempo indeterminato nel prossimo biennio. In questo senso, va applicata la riforma dell’Imu, esonerando solo i possessori di un’unica abitazione di residenza, con un tetto riferito al valore dell’immobile che esclude quelli di lusso, visto che il 6,8 per ceno di chi ha pagato l’Imu più alta sulla prima casa – perché di maggior valore – ha prodotto da solo il 30 per cento del gettito. Questa esenzione potrebbe essere raggiunta aumentando la detrazione fino a 800-1.000 euro.

In ogni caso, da tempo la Cgil ha proposto il superamento dell’Imu con un’imposta sulle grandi ricchezze che vada a colpire i grandi patrimoni accumulati dalle famiglie più ricche, prendendo in considerazione tutti i cespiti patrimoniali, immobiliari e finanziari, per liberare le risorse oggi improduttive per il paese. Più in generale, la Cgil ritiene anche che l’Iva non vada aumentata e che, invece, potrebbe essere utile aumentare la tassazione sui capital gain, cioè sui guadagni di reddito derivanti dagli investimenti in strumenti finanziari, passando dal 20 attuale a un più equo 25 per cento (media europea) e portando dal 12,5 al 15 per cento l’aliquota per i titoli pubblici. Sono scelte eque, di fronte a un paese che, rispetto all’Europa, non è affatto esigente nel coinvolgimento fiscale di tali redditi, mentre lo è moltissimo sull’Irpef, la cui aliquota media effettiva per i lavoratori dipendenti e i pensionati è già attorno al 25 per cento.

Non solo. Bisogna tornare a scommettere sul welfare, a cominciare dal finanziamento della non autosufficienza, visti i continui e progressivi tagli alla spesa pubblica e, in particolare, alla spesa sociale, che hanno esposto milioni di persone e destabilizzato la stessa economia. Nella crisi, quindi, appare evidente l’importanza dell’intervento pubblico e, per questo, da un lato occorre ridurre i costi della politica come condizione per riconquistare buone istituzioni e, dall’altro lato, promuovere l’ammodernamento e la semplificazione della pubblica amministrazione, da realizzarsi però non più attraverso tagli lineari, ma con la riorganizzazione e l’innovazione dello Stato, la semplificazione delle procedure e il contenimento della legislazione concorrente, eliminando tutte le formalità che rallentano le decisioni e l’efficacia del suo funzionamento.

Per questa via, diventa fondamentale – anche per la crescita – investire nella scuola pubblica, nell’università, nella ricerca pubblica e prorogare i contratti precari nella pubblica amministrazione e nella scuola (portati a scadenza al 31 dicembre 2013), visto che tutti i confronti internazionali sulla capacità di investire in innovazione collocano il nostro sistema economico e produttivo in fondo alle classifiche per sostegno pubblico e capitale umano, con evidenti riflessi sulla produttività media delle imprese, in larga parte caratterizzate da bassa intensità tecnologica e contenuto di conoscenza.

In coerenza con la strategia di fondo della Cgil, che resta il Piano del lavoro 2013 – come il New Deal, fondato proprio sulla creazione di occupazione e su investimenti in innovazione e beni comuni – devono collocarsi le misure d’emergenza, ma anche e soprattutto di prospettiva, come quelle avanzate nella piattaforma del 22 giugno: il rilancio di politiche anticicliche, prevedendo la possibilità per i Comuni, che dispongono di risorse, di fare investimenti per opere pubbliche e di avviare i cantieri già deliberati fuori dal Patto di stabilità; la definizione di una politica industriale che sappia programmare lo sviluppo industriale e non solo, rilanciare e qualificare le produzioni, valorizzare le imprese che investono in innovazione e ricerca, che salvaguardano l’occupazione e le competenze.

Solo nuova occupazione, anche creata direttamente dall’economia pubblica, e nuovi investimenti, pubblici e privati, possono cambiare la rotta dell’economia italiana ed europea. La centralità del lavoro è la precondizione per una nuova crescita e un nuovo sentiero dello sviluppo. Questo è il cuore della manifestazione nazionale che si terrà il 22 giugno a Roma, in piazza San Giovanni.

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