ROMA «Basta con gli annunci serve coraggio». I centomila che chiudono la manifestazione per il lavoro in piazza San Giovanni a Roma, portano al governo messaggi netti e senza troppi fronzoli. Cgil, Cisl e Uil tornano in corteo insieme dopo dieci anni nel luogo simbolo per i sindacati. Due i cortei che si snodano per le vie della città, in testa a uno di questi c'è anche il leader del Pd Guglielmo Epifani. Il suo partito è a palazzo Chigi ma da ex sindacalista non può rinunciare a sfilare dalla parte di chi chiede in questo momento di crisi chiede solo lavoro. «Questa è una giornata importante, per questo ho voluto esserci». Gli strattoni al premier Enrico Letta e al ministro del Lavoro Giovannini non si fanno attendere e arrivano dai comizi dei tre leader: Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti. Le ultime crisi che stanno mettendo in ginocchio il sistema industriale del Paese non lasciano spazio ad altro tempo. «Serve coraggio, scelte precise che si traducano nel senso del cambiamento», dice il segretario della Cgil che pure nei giorni scorsi aveva commentato aspramente «gli annunci a vuoto» del governo. «Noi questo paese lo vogliamo salvare, ci mettiamo la faccia», ricorda Camusso citando il recente accordo sulla rappresentanza sindacale, perché «non ci nascondiamo dietro al fatto che le cose non si possono fare, mai». E ancora «quanto il governo ha fatto non basta», dice rivolgendosi direttamente a Letta. «Presidente, siamo davvero convinti che ci sia un futuro per questo Paese se il sistema industriale si trova al punto più basso mai toccato durante la crisi? Pensa davvero che cambi qualcosa se si fanno un po' di incentivi per giovani ma non si crea un posto di lavoro che sia uno?». Per Cgil, Cisl e Uil il tempo è scaduto ma non è solo un ultimatum alla politica, anche il segnale che la crisi non può reggere oltre. L'Imu è l'ultimo problema perché i sindacati chiedono al governo di concentrarsi piuttosto sugli interventi per ridurre il cuneo fiscale, gli incentivi a chi investe e assume, il rifinanziamento della cassa integrazione, la soluzione definitiva per chiudere la vicenda degli esodati, senza tralasciare la riapertura del dossier sulle pensioni. Nel mirino c'è il ministro del Welfare, Giovannini, che si appresta a portare in Consiglio dei ministri il pacchetto lavoro, giudicato almeno dalle prime misure annunciate «ben poca cosa e di scarsa efficacia». In treno, in nave in aereo, con migliaia di pullman, i centomila di piazza San Giovanni arrivano da ogni parte d'Italia. Gli ultimi tonfi della crisi fanno rumore e si chiamano Indesit e Natuzzi con migliaia di lavoratori a rischio. Crisi di distretti che si sommano a centinaia di aziende anche più piccole e che fanno scattare l'ira dei sindacati stavolta contro il ministro dello Sviluppo Economico Zanonato: «Basta accumulare vertenze sui tavoli senza dare risposte». La richiesta di un cambio di passo è netta accompagnata dall'uscita dall'ambiguità delle politiche fin qui adottate. E' Bonanni che stavolta si rivolge al premier dal palco in una piazza gremita e cotta dalla calura: «Il governo deve dare una risposta, indicare una strada coraggiosa, dare una scossa, dimezzare le tasse sul lavoro, ridurle fortemente su pensioni e imprese. Devi fare una scelta, stai con questa piazza o con i riti bizantini della politica italiana?». Una critica che colpisce perché arriva da un esponente centrista. Il timore dell'immobilismo per salvare gli equilibri di governo e delle «Chiacchiere senza dare risposte alla crisi», è il filo comune dei tre leader. «Andiamo verso il deserto dei posti di lavoro, se continuiamo così a staccare la spina al governo saranno i disoccupati», avverte il segretario della Cisl Luigi Angeletti. Lungo il corteo era stato Epifani a alzare il muro di difesa dell'esecutivo: «Fare cadere il governo in una fase così drammatica sarebbe da irresponsabili». Alla manifestazione «Lavoro e democrazia» arriva anche Nichi Vendola che sull'esecutivo è invece molto più netto: «Abbiamo bisogno di un governo che imprima una svolta a una realtà drammatica, se non sono in grado vadano a casa».