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Data: 25/06/2013
Testata giornalistica: Il Centro
Regione condannata a pagare 2 milioni a 50 dipendenti

L’AQUILA Il giudice del lavoro del tribunale dell’Aquila, Anna Maria Tracanna, ha condannato la Regione a pagare le differenze retributive a una cinquantina di dipendenti ai quali non era stata applicata la cosiddetta progressione verticale di carriera. Si tratta di dispositivi di sentenza non cumulativi, dunque, con somme varie che cambiano a seconda dell’anzianità ma si può stimare che la somma complessiva si aggira a circa due milioni. Ma non è detto che il contenzioso si fermi qui visto che ci sono altre persone che hanno presentato i loro ricorsi oppure stanno per farlo. Finora i ricorsi, praticamente tutti vinti, sono stati redatti dall’avvocato Isabella Di Benedetto del foro dell’Aquila. Nella motivazione di una delle tante sentenze depositata non mancano bacchettate alla Regione. «Se si considera che l’obbligo di procedere a progressioni verticali», è scritto nella motivazione del giudice, «era opertante dal 2001 e che a distanza di 12 anni tale obbligo è rimasto totalmente inadempiuto, la Regione Abruzzo non può che ritenersi responsabile dei danni arrecati per non avere eseguito la prestazione a suo carico e per non avere superato la presunzione di colpevolezza. L’inadempimento datoriale rende fondata, dunque, la domanda di risarcimento dei danni per perdita di chance, intesa la chance non come mera aspettativa di fatto ma come entità patrimoniale suscettibile di autonoma valutazione giuridica ed economica. Sicchè la perdita della stessa costituisce una lesione attuale alla integrità del patrimonio risarcibile come conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento o dell’atto illecito del danneggiante». «Il mancato svolgimento assoluto», si legge ancora nella motivazione, «delle procedure di progressione verticale per oltre un decennio a vantaggio di concomitanti procedure di stabilizzazione, di trasferimento e di mobilità riguardanti l’accesso di altro e diverso personale nei ruoli regionali integra un vero e proprio inadempimento che non può certo ritenersi scriminato da esigenze di rispetto delle norme di contenimento della spesa pubblica, infatti le progressioni verticali vanno considerate come un mero sviluppo di carriera nell’ambito di un rapporto di lavoro già in essere con la pubblica amministrazione e non come una nuova assunzione con conseguente esclusione dal blocco delle assunzioni che non abbiano osservato i limiti del patto di stabilità interno». «La pronuncia del giudice amministrativo», si legge ancora nella motivazione, «in merito alla illegittimità dei criteri adottati dimostra semmai una colpevole negligenza e perfino inerzia da parte datoriale:se è innegabile che l’ammministrazione abbia dovuto ottemperare agli ordini dell’autorità giudiziaria nulla impediva al datore di lavoro di attivarsi e pattuire altre modalità e avviare nuove procedure non affette da vizi». Questa la sentenza. Probabile un ricorso in corte di appello da parte dell’ente vista l’entità della somma in ballo.

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