MILANO Quando mancano meno di due settimane al verdetto, l’ex talent scout Lele Mora, recita il mea culpa nell’aula del processo Ruby bis, quello che lo vede imputato, assieme a Emilio Fede e Nicole Minetti, per induzione e sfruttamento della prostituzione anche minorile. Nelle vicende che si sono consumate attorno alle notti di Arcore c’è stata «dismisura, abuso di potere, degrado. Tre parole che ho letto sui giornali e che condivido», ha detto Mora citando, davanti al tribunale, quanto scrisse all’alba dello scandalo Beppe D’Avanzo, giornalista di Repubblica morto nel luglio 2011. Nel rivolgersi ai giudici con una breve dichiarazione spontanea, Mora ha ammesso di essere stato «passivo concorrente» del sistema Arcore. «Ma oggi non voglio più mangiare cibo avariato e lascio il compito ai miei difensori di chiarire», ha detto affidandosi di fatto alla clemenza del collegio al quale la procura ha chiesto per tutti una condanna a sette anni. «E' vero, ho partecipato alle feste di Berlusconi ad Arcore, ed è vero che ho accompagnato alle cene alcune ragazze. Ma non ho mai voluto condizionarle, non ho mai giudicato i loro comportamenti - qui forse sbagliando - e non ho mai orientato le loro condotte con costrizione», ha poi aggiunto. Nell’inedita veste di pentito, l’ agente dei vip caduto in disgrazia ha quindi ribadito di avere avuto modo di «pensare a lungo» durante i mesi trascorsi in cella con un’ accusa di bancarotta perché «il carcere ti impone una pausa». Quindi ha voluto scusarsi con la stampa. «Mi vergogno per le polemiche che ho fatto contro giornalisti e comunisti, per le minacce che ho rivolto, mi vergogno e chiedo scusa a Corrado Formigli e ai suoi colleghi, scuse che rinnovo senza se e senza ma. Voglio uscire da quella bufera infernale che troppo a lungo mi ha trascinato, togliendomi luce e ragione, voglio uscire a riveder le stelle», ha detto scomodando Dante. «Comunque mi sono assunto le mie responsabilità per i fatti che mi hanno portato in carcere e per quelli di questo giudizio valuterete voi», ha aggiunto. Nel lasciare il palazzo di Giustizia Mora ha cercato di correggere il tiro delle dichiarazioni rese poco prima in aula spiegando ai giornalisti che «ad Arcore non c’è stato niente di male» e che addirittura a villa San Martino «la prostituzione non c’è mai stata». La parola è quindi passata ai suoi legali – gli avvocati Gianluca Marris e Nicola Avanzi - i quali hanno invece sostenuto che «le condotte di Mora non hanno niente a che vedere con gli atti sessuali eventualmente compiuti ad Arcore». In un «contesto di venalità, arrivismo e ambizione» delle serate, Mora faceva solo il talent scout: e da parte sua non c'era «partecipazione psicologica in quello che avveniva dopo», hanno detto chiedendo l’assoluzione del loro assistito perché il fatto non costituisce reato o in subordine la derubricazione del reato in favoreggiamento personale nei confronti del Cavaliere: anche perché tramite Fede - che ci fece sopra la cresta - dal Cavaliere, Mora, aveva ottenuto un prestito milionario col quale sperava di salvare la sua società. La sentenza del tribunale è attesa per il 12 luglio.