C’è anche il rischio di incostituzionalità per l’imposta su capannoni e agricoltura. Varie soluzioni per trovare le risorse: dalle accise a una sforbiciata ai servizi
LE MISURE/1
ROMA C’è anche un rischio di incostituzionalità per l’Imu sugli immobili strumentali sul tavolodi Maurizio Saccomanni. Nel dossier con il quale il ministro dell’Economia si presenterà mercoledì prossimo alla riunione della cabina di regia c’è «una pluralità di soluzioni» sulla riforma dell’Imu prima casa che i tecnici del Tesoro stanno mettendo a punto. L’alternativa è fra due strategie di fondo: abolizione tout court della tassa sull’abitazione principale che costerebbe 4 miliardi; rimodulazione dell’imposta con varie sfumature di grigio e costo ridimensionato tra 1 e 3 miliardi.
Per coprire queste diverse gradualità di applicazione o abolizione dell’imposta ci sono altrettante ipotesi di copertura: dall’aumento delle accise sempre presente in ogni ricerca di gettito, alla revisione della spesa pubblica con nuovi tagli anche «dolorosi» come Saccomanni ha già fatto capire, compreso il ridimensionamento eventuale di servizi ai cittadini. Dopo giorni di pressing, il Tesoro chiederà alla maggioranza che sostiene il governo di dare indicazioni politiche. I tecnici si regoleranno di conseguenza nel proseguire sulla via delle soluzioni.
Se questo è il quadro generale, è chiaro che gli spazi per detassare non solo la prima casa ma anche capannoni industriali e terreni agricoli (il rischio di incostituzionalità è legato alla doppia imposizione), si recuperano dalla seconda ipotesi e cioè dalla rimodulazione dell’Imu con l’aumento delle franchigie o altre soluzioni finalizzate a garantire la progressività del gettito.
LA RATA A DICEMBRE
La via maestra per riuscirci sarebbe la riforma del catasto, inserita nella delega fiscale che il Parlamento dovrebbe approvare in luglio, ma la sua attuazione richiede tempi più lunghi rispetto alla necessità di chiudere almeno la riformulazione normativa entro fine agosto e possibilmente anche prima.
Di sicuro, si sente ripetere a Via XX Settembre, nessuno intende far pagare il 16 settembre la prima rata sospesa a giugno. Il problema della clausola di salvaguardia si pone dunque per lo Stato (e nei confronti della Ue) ma non per il contribuente. Chiarito questo punto, resta da precisare che una prima copertura di 2 miliardi va comunque trovata, mentre per le altre scadenze di autunno (seconda rata Imu, Iva, cuneo fiscale e patto di stabilità dei Comuni) l’orizzonte si sposta entro la fine di dicembre.
Le ipotesi al vaglio sono numerose. Sul tavolo c’è l’aumento delle detrazioni che oggi, sommando i 200 euro per la prima casa e i 50 aggiuntivi per ogni figlio, possono arrivare a 400 euro. Durante la campagna elettorale il Pd aveva proposto di portarle a 500 euro, ora si discute se arrivare a 600 euro. Per escludere dall’esenzione dall’Imu le case di lusso non bastano le attuali categorie catastali. Un’altra ipotesi è dunque di considerare anche la superfice o il numero di vani oppure ancora di agganciare la franchigia a un certo numero di metri quadri a persona in modo di premiare il nucleo familiare. Resta sempre in piedi (ma non piace al Pdl) la proposta di collegare l’Imu al nuovo Isee (Indicatore di situazione economica). La più innovativa, e forse radicale, è quella chiesta a Saccomanni dai Comuni: trasformarla in una service tax, pagata da chi abita la casa (proprietario o inquilino) per i servizi resi (illuminazione, asfaltatura, rifiuti,etc). Ma per collegarla alla riforma della Tares serve un altro miliardo.
Taglio dell’Iva o del costo del lavoro, il rebus dei fondi
LE MISURE/2
ROMA Se si fa l’Iva, il taglio al cuneo fiscale finisce su un binario morto. Con buona pace di Confindustria e dei sindacati che da tempo insistono per una riduzione del carico tributario sui salari in modo da gonfiare le buste paga dei lavoratori. La sintesi della fonte politica del ministero dell’Economia è tanto cruda quanto efficace. «Se si vuole congelare l’Iva ben oltre il 1° ottobre o addirittura bloccare l’aumento dal 21 al 22% per tutto il 2014 e anche oltre – ragionano in queste ore in Via XX Settembre – bisogna essere consapevoli che non ci saranno i soldi per finanziare anche una riduzione del cuneo fiscale. Bisogna scegliere». La coperta, si fa notare, è corta. E gli uomini che affiancano il ministro dell’Economia liquidano alcune delle ipotesi che circolano sulle possibili coperture. Ad esempio quella secondo la quale sarebbe ipotizzabile bloccare l’Iva (4,2 miliardi il costo per un anno) con una specie di «autofinanziamento». Vale a dire alzare, per alcuni prodotti, le aliquote agevolate oggi fissate al 4 e al 10%, che erodono alle casse dello stato circa 40 miliardi di euro a fronte dei 102 incassati, ogni anno, alla voce Iva. «Si tratta di un lavoraccio, di un problema molto delicato che richiede molti mesi» dicono.
TEMPI STRETTI
E non c’è il tempo necessario. Inoltre individuare le voci, nel paniere dei beni e servizi, da sottoporre a torchiatura è complicato visto che l’Iva ridotta si applica a generi popolari come il pane o il latte. Senza dimenticare che nel perimetro dell'aliquota al 4% ricadono, ad esempio, le somministrazioni per mense scolastiche e asili. Insomma, non sarebbe facile intervenire senza penalizzare le fasce più popolari. Tuttavia uno studio di fattibilità, su questo dossier, è stato già avviato al Tesoro, anche perché molte forze che sostengono la maggioranza (in particolare l’area che fa capo al Pdl ) hanno digerito a fatica la decisione del governo di coprire il congelamento di tre mesi dell’Iva con gli aumenti degli acconti Irpef, Ires e Irap e con la stangata sulle sigarette elettroniche. E insistono per un cambio di rotta. Perché è vero che si tratta solo di un aumento degli acconti di fine anno che sarà sottratto dai saldi che gli imprenditori pagheranno nel 2014. Ma incrementare dal 99 al 100% l’acconto dell’Irpef, dal 100 al 101% quello dell’Ires e dal 100 al 110% quello dell’Irap (esborso totale 2,6 miliardi ) rischia di aggravare la situazione finanziaria di artigiani, commercianti, liberi professionisti e piccoli imprenditori. E allora si torna al punto di partenza. Come coprire, eventualmente, l’operazione Iva? Un bel rebus, tanto più che i primi cinque mesi del 2013 mostrano che l’imposta ha perso per strada 2,8 miliardi, pari a una flessione del 6,8% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. La fonte politica del ministero dell’Economia esclude interventi sulle accise («è già eccessivo il costo dei carburanti») e accenna, con riferimento alla spending review, a possibili aree di intervento sulla spesa pubblica. Altri tagli, insomma. «Ma non certo sulla scuola», a voler mettere le mani avanti a protezione di un settore già abbondantemente messo a dura prova dalle manovre di questi ultimi anni. Si punta quindi, ma con prudenza, al riordino (nella delega fiscale ) delle tax expenditures: le agevolazioni (detrazioni, deduzioni e bonus ) con le quali i contribuenti riducono il carico tributario.