COLLELONGO La sentenza l’ha attesa in casa dove si è rinchiuso presto, dopo aver acquistato i giornali. Niente partitella a scopa, ieri mattina, niente lunghe chiacchierate al bar: qualche parente nel giardino di fronte a quel rudere ristrutturato in cima al paese e gli amici più stretti intorno. Ottaviano Del Turco, ha aspettato l’arrivo del figlio Guido a Collelongo per uscire dal civico 24 di vico Quarto, un’ora e mezza dopo le parole del giudice Carmelo De Santis. «Ho ascoltato la sentenza per telefono - racconta l’ex governatore d’Abruzzo - mi avevano cominciato a dare l'elenco delle condanne in ordine alfabetico e allora ho capito che sarebbero arrivati anche alla D, come è giusto che sia in questi casi. Faremo appello». Barba incolta, camicia jeans, una ferita sulla mano e i cerotti delle flebo sul braccio: è debilitato Del Turco, dalla malattia che lo ha colpito qualche mese fa e da cinque anni e una settimana passati a difendersi. «Il momento più difficile è stato quando mi sono accorto che avevano chiesto di condannarmi a 12 anni, contemporaneamente c’erano persone che avevano ammazzato gente per strada, delitti orribili che prendeva 6-7 anni di carcere, perché 12 anni? - si chiede Del Turco - Così ho capito: non ci sono le prove, però, insomma, per chiedere 12 anni vuol dire che qualche marachella l’ha fatta. Ecco lì ho avuto paura, perché ho capito che le prove nei processi penali sono secondarie, l’importante è mandare i messaggi giusti. E quel messaggio aveva un senso e si è visto oggi». Per questo, la condanna un po' se l'aspettava: «Un brillantissimo avvocato italiano mi ha detto stai tranquillo, in primo grado succede sempre così, saranno in secondo grado e in Cassazione che la gente scoprirà come stanno le cose. La mia speranza era che si potesse dimostrare che un conto è il ruolo dell'accusa nel sistema penale italiano e un conto è la Corte che può decidere sulla base delle prove». Quelle prove, che continua a dire, non ci sono, perché non ci sono i soldi e non c'è logica: «La corruzione ha dei grandissimi effetti: purtroppo quando la gente paga ottiene quello che vuole, in questo caso invece ha ottenuto dei provvedimenti che hanno cambiato il corso della sanità abruzzese». E poi, sostiene l'ex governatore, la sua vita è rimasta sempre la stessa: «Io l'ho cambiato il sistema di vita, avevo una bella macchina e adesso ho una bella panda che va benissimo per le mie esigenze - racconta - lo dico perché generalmente queste cose si fanno per esibire un diverso sistema di vita e la mia vita non è mai cambiata. Io a Natale sono stato a Collelongo non a Rio, io passo le feste comandate in questo paese, e continuerò a farlo. Adesso vediamo, voglio essere sereno ma non patetico». Non fa la vittima, non ne ha nessuna intenzione, crede nella giustizia, ma è convinto che qualcosa nel sistema giudiziario vada rivisto: «Purtroppo si ripropone un eterno problema e cioè il rapporto che c’è tra la magistratura inquirente e la magistratura giudicante. Troppa commistione, troppa confusione: molto spesso diventano presidenti di Corte magistrati che hanno fatto i pubblici ministeri e si portano appresso anche quella cultura, la cosa non è un peccato e non è nemmeno frutto dell’intervento del diavolo, quando uno cresce in un modo è difficile che possa cambiare quando sta per andare in pensione. Così succede in questo Paese». Poi l’affondo sul nodo politico: «Penso di essere stato il primo bersaglio di questa vicenda. Non vado cercando medaglie ma so solo che il problema era un presidente che aveva deciso che in Abruzzo si doveva cambiare e non si doveva continuare così». La battaglia continua, come nel caso Tortora: «Mi auguro che Mandelli (il suo oncologo, ndr) mi dia la forza di andare avanti altri cinque anni, fino alla Cassazione».
Chiodi e D’Alfonso restano in silenzio
Paolucci e il Pd cauti. Marini stupito. Pdl: «Errore giudiziario»
L’AQUILA Nel mare magnum delle reazioni mancano proprio le due più attese. Colui che Del Turco l’ha «sostituito», ovvero Gianni Chiodi e il segretario del Pd all’epoca dell’arresto, Luciano D’Alfonso. Che, in realtà, una pacca sulla spalla da Del Turco l’ha ricevuta dopo l’assoluzione per le presunte tangenti al Comune di Pescara: «È una sentenza che fa giustizia a Luciano D’Alfonso e mi apre alla speranza che le regole del diritto in Italia valgano anche per me che non ho commesso il fatto» disse l’ex governatore. Speranza vana. D’Alfonso no, non parla. Troppo delicati gli equilibri politici in vista delle imminenti regionali, o forse solo rispetto per una vicenda umana che gli ha ricordato da vicino le sofferenze vissute personalmente, prima del felice epilogo.
Se D’Alfonso non commenta, il Pd non brilla per eloquenza. Parlare di reazioni timide è un eufemismo. Il segretario Silvio Paolucci si affida a una nota da equilibrista: «Prendiamo atto di questo primo grado di giudizio e restiamo in attesa della verifica definitiva, convinti che ciascuna delle figure in campo farà valere le proprie ragioni in attesa della verità giudiziaria. Umanamente sono vicino alle persone che ho conosciuto in questi anni e che hanno conosciuto il peso di un processo e oggi la gravità della pena comminata. La politica, invece, si deve occupare delle regole, per rendere sollecito l’accertamento della verità e bilanciati gli strumenti delle parti in campo, più di quanto lo sia attualmente». Non rileva, Paolucci, possibili scossoni politici: «Gli effetti, anche elettorali, si dispiegarono con tutta evidenza con i provvedimenti cautelari di cinque anni fa. Resto invece dell’idea che al di la delle verità processuali le azioni di risanamento dei conti della sanità furono avviate in quella legislatura».
Chi non ha mai abbandonato Del Turco è Franco Marini, ex sindacalista come lui. Visite continue a Collelongo e, ieri, la reazione stupita: «Conosco Ottaviano Del Turco da tanti anni. La pesantezza dell’accusa a suo carico e oggi la sentenza di condanna mi lasciano incredulo».
Chiodi, come detto, tace. Perlomeno a caldo. All’epoca parlò di «sanità abruzzese chiacchierata, di una sanità pseudo-privata». Il Pdl nazionale (Bondi e Capezzone), però, sta con Del Turco senza se e senza ma: si parla di «clamoroso errore giudiziario» e di «convinzione nella totale innocenza». Non così a sinistra. Ferrero, Prc: «l’intreccio politica-privati è il male della sanità».