ROMA La dead line sulla legge che abroga il finanziamento pubblico ai partiti è subito a ridosso dell’estate. Per allora, e cioè per la ripresa dell’attività parlamentare a fine agosto, o il Parlamento avrà abrogato il finanziamento pubblico alle forze politiche, approvando il disegno di legge presentato dal governo oggi ancora all’esame della commissione Affari costituzionali della Camera (e che, dunque, il Senato dovrebbe varare in via definitiva e senza modifiche entro settembre) oppure il governo interverrà con un decreto legge. Come ha più volte ripetuto il presidente del Consiglio Enrico Letta.
L’ESECUTIVO
«Va bene il confronto, ma il governo non è disponibile a rimandare il testo alle calende greche», dice con nettezza il ministro alle Riforme Gaetano Quagliariello entrando nella riunione d’urgenza convocata d’improvviso, ieri sera, a palazzo Chigi, tra il governo e la maggioranza (a partire dai due relatori, Fiano per il Pd e Gelmini per il Pdl) sul tema. Il problema è proprio trovare la quadra o – come dice il governo – una “linea comune” data la mole di emendamenti (oltre 150) presentati in commissione Affari costituzionali, dove il testo è in esame (teorico arrivo in aula il 26 luglio), molti dei quali vanno in direzione opposta e contraria a quella che anima il testo del governo, per esempio cercando di riproporre forme di cofinanziamento diretto dello Stato o abrogando il 2xmille.
LA MEDIAZIONE
La mediazione potrebbe riguardare emendamenti condivisi da parte dei relatori o il ritiro di quelli più controversi che comprendono anche le regole di democrazia interna dei partiti, statuti compresi. Il governo e il premier in prima persona non vogliono deflettere dal principio ispiratore del disegno di legge: abolizione dei rimborsi elettorali, libera scelta dei cittadini, niente più automatismi nei rimborsi e adeguati meccanismi di sostegno fiscale ma volontari (detrazioni e deduzioni, coi rispettivi tetti).
Andrea Martella, a nome del Partito democratico, uno dei partiti dove si annidano – a detta anche di alcuni lettiani – i più ostili detrattori del provvedimento (Ugo Sposetti in testa, con l’appoggio di dalemiani, franceschiniani, Sel), assicura che «il mio partito non ha alcun ripensamento né farà passi indietro sul testo del governo».
I TEMPI
La tempistica non aiuta il ddl del governo e la voglia di Letta di arrivare al traguardo: alla Camera c’è un ingorgo senza precedenti di decreti da varare (“decreto del fare, decreto sicurezza, ddl omofobia, tra gli altri) e dentro il Pd si teme di «non fare in tempo» ad approvare il provvedimento sui soldi ai partiti entro fine luglio. Il che renderebbe molto difficile l’esame e il varo lampo da parte del Senato, avvicinando la minaccia del governo di fare un suo decreto legge a settembre.