ROMA Il premier Enrico Letta vuole accelerare al massimo il varo del disegno di legge che abroga il finanziamento pubblico ai partiti. Ieri, di prima mattina, lo ha scritto su Twitter: «Non faremo passi indietro, il ddl che abbiamo presentato è una buona riforma. Perché rinviarlo?», si è chiesto retoricamente sfidando i partiti che fanno orecchie da mercante e che, in commissione Affari costituzionali, hanno presentato ben 150 emendamenti (di cui ben 58 sono di M5S, 32 del Pd, 26 del Pdl, 15 di Sel). Il rischio concreto è che, il 26 luglio, il provvedimento non arrivi all’esame dell’aula come previsto in modo tale da permetterne il varo, in prima lettura, prima dell’estate, tappa obbligata se – per fine agosto – si vuole riuscire ad approvarlo in seconda lettura al Senato evitando la minaccia che pende sul capo dei partiti. Quella di un decreto legge che rispecchi il cuore del ddl, ma varato d’imperio dal governo.
RITARDI
Ieri, però, a complicare le cose e la vita, oltre che l’iter, del ddl sui partiti ci si è messo il governo stesso. Chiedendo la fiducia sul “decreto del fare”, che verrà votata oggi, l’attività di tutte le commissioni è stata bloccata e non riprenderà prima di domani. Altri due giorni persi. Il ministro Franceschini, in realtà, aveva chiesto che, a differenza della prassi normale, le commissioni potessero continuare i lavori per salvaguardare proprio il ddl sui partiti e quello sulle riforme, ma è bastata l’opposizione, in sede di conferenza di capigruppo, dei grillini a impedire di ottenerlo. Letta, però, non demorde. Stasera, quando interverrà all’assemblea del gruppo Pd alla Camera, chiederà «lealtà e responsabilità», tra l’altro, anche su quel ddl cui tiene moltissimo perché, ripeterà, «se la politica non si autoriforma è perduta». Dopo il vertice dell’altra sera convocato dal governo a palazzo Chigi con i due relatori del provvedimento (Emanuele Fiano per il Pd, Maria Stella Gelmini per il Pdl e Renato Balduzzi per Sc) ieri pomeriggio prima i democrat, poi i tre relatori si sono chiusi in sedute fiume per cercare di trovare al loro interno una posizione unitaria e arrivare a un testo condiviso. L’idea è quella di un maxi-emendamento da presentare in commissione già oggi per sfoltire gran parte degli emendamenti, specie i più contrastanti tra loro, oppure il 26 in aula.
Permangono, però, forti distanze sia tra Pd e Pdl che dentro il Pd. Quelle tra Pd e Pdl riguardano soprattutto la democrazia interna e gli statuti dei partiti che il ddl vuole costringere a criteri fissati una volta per tutte di democraticità e trasparenza, ma su cui il Pdl nicchia e cui non vorrebbe dare il via libera, anche se ieri Daniela Santanché è intervenuta per ricordare a tutti che il principio di fondo, l’abolizione del finanziamento pubblico, «è nel programma del Pdl». Per quel che riguarda il Pd, il braccio di ferro è tra i renziani da un lato, spalleggiati in questo caso dai lettiani, e dalemiani (Sposetti), bersaniani (Misiani) e franceschiniani (Bressa) dall’altro. Spiega Maria Elena Boschi, renziana doc e ormai vera “esperta” della materia: «Il nostro no ai finanziamenti indiretti, ancorché gratuiti, dello Stato ai partiti sotto forma di servizi (sedi, spazi tv, servizi postali e commerciali) è netta. Deve scegliere solo il cittadino quali partiti finanziare e come via detrazioni, che prediligiamo, deduzioni e 2xmille. Inoltre chiediamo maggiore trasparenza sui finanziamenti delle Fondazioni e diciamo no a forme di cofinanziamento o di 2xmille ponderato (parte del Pd vuole alzarlo al 2,5xmille, il Pdl abolirlo, ndr) come propongono alcuni dentro il Pd». Scettica sui tempi di approvazione del ddl la Boschi sprona però tutti i colleghi della commissione: «Acceleriamo e lavoriamo, un decreto legge del governo sarebbe l’ultima spiaggia e una sconfitta di tutti». Appunto.