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Pescara, 16/05/2025
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24/07/2013
Il Centro
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«Del Turco stangato? Che me ne fotte, è un bugiardo patologico». Il grande accusatore Angelini non depone le armi e attacca «Mi ha rovinato, ma la mia è solo una mezza condanna» |
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Angelini, come sta il giorno dopo: è arrabbiato, deluso, contento o insoddisfatto? «Il mio stato d’animo è costantemente molto amareggiato, lo stesso che mi assale quando le persone che incontro mi dicono: “Avevamo una struttura, Villa Pini, nella quale eravamo sicuri e adesso non è più così”». Che cosa le hanno detto, in questi anni, le persone che ha incontrato per strada? Ha ricevuto attestati di solidarietà? «La solidarietà mi è arrivata dalla gente, tutti mi hanno espresso costantemente vicinanza per la sorte della clinica Villa Pini e verso la mia vicenda personale, a favore della mia battaglia nei confronti di Ottaviano Del Turco. Ma staremo a vedere in appello». Da oggi inizia il secondo round, al primo che lettura dà? «Non sono insoddisfatto, sono stato assolto da tutte le imputazioni, tranne da una che tornerà in procura per vederci meglio: è una mezza condanna. Non sono favorevole a questa polemica infame, a tutto l’apparato immenso di potere di cui dispone Del Turco, i mille consensi che gli arrivano da tutte le sue antichissime e oscure amicizie. Qualcuno mi ha detto che mi ha chiamato “bandito”, ma bandito è qualcuno che si toglie via con la violenza. Io non sono un bandito!». Che rapporti aveva con l’ex presidente Del Turco prima dell’inchiesta sulla sanità? «Il mio rapporto con Del Turco è iniziato quando lui ha cercato di vendere la clinica Sanatrix a Vittorini. Detto da lui, bandito o ancora peggio bancarottiere...La mia vicenda con Del Turco dimostrerebbe che sono il re degli imbecilli, potrei concorrere alla corona degli imbecilli che solo per mettere una pezza avrei dato i soldi a Del Turco. E’ assurdo quello che si dice. Ma se io fossi un bancarottiere, starei qui a fare a cazzotti? Con i milioni si campa da nababbi, che cosa starei a fare qui se fossi un bancarottiere? Sono veramente esterrefatto del potere assoluto di Del Turco su tutti i media, evidentemente nella sua carriera...». E’ contento della condanna di Del Turco? «Non dico ben gli sta perché una condanna non sta bene a nessuno. Sono amareggiato per me. E che me ne fotte a me che gli hanno dato nove anni e sei mesi?». Non ha più Villa Pini: è questo il suo più grande rammarico? «No, il mio più grande rammarico è quello di non aver capito subito che l’ex presidente della Regione Ottaviano Del Turco voleva farmi fallire». La sua ex clinica ha cambiato gestione, che impressione le ha fatto? «Nessuna, non penso nulla. Spero solo che si salvi il maggior numero di lavoratori e non mi sembra che le cose stiano messe bene. Con me c’erano 2.000 dipendenti in una struttura di eccellenza e di qualità e pure un bambino capirebbe che degli attuali 630 almeno duecento andranno via. Del nuovo titolare non m’interessa, non penso nulla». Chi era Angelini ai tempi dell’imprenditore titolare di Villa Pini? «Ho imparato una lezione che ho pagato con la mia rovina. Ho imparato che non serve a nulla la qualità del tuo lavoro se non fai parte di consorterie di potere. Io pensavo che bastasse avere progetti, sogni, pensavo che a proteggermi sarebbe stata la qualità del mio lavoro e mi sono sbagliato». Qual è l’offesa che ha avvertito come più grave in questi due anni e oltre di udienze? «Mah, probabilmente quando mi hanno dato del bancarottiere. Non per quello che può significare questo termine, ma per come qualcuno che ha usato l’azienda per arricchirsi e non come un servizio. E’ questa l’offesa più grave che ho ricevuto». Cosa è diventato Angelini in questi anni? «Devo alla mia famiglia l’aver trovato il coraggio di essere uscito dalla spaventosa depressione in cui ero caduto, devo alla mia famiglia l’aver capito chi fosse davvero Del Turco. Prima ero un imprenditore che credeva in un progetto, che credeva in un sogno, in un’idea, adesso sono diventato un uomo che ha capito che le idee non servono a niente: conta solo il potere. Ma oggi devo ringraziare mia moglie e i miei figli, il loro coraggio e il loro aiuto per essere guarito dalla depressione in cui Del Turco mi aveva cacciato». Andrebbe a cena con Del Turco? «Non capisco la domanda, non capisco la domanda». Potrebbe dirgli quello che pensa. «A lui non ho da dire niente, il mio giudizio su Del Turco è compiuto: è un bugiardo patologico. Del Turco è un bugiardo patologico e non si può andare a cena con una persona del genere». C’è qualcosa che salva del carattere del suo avversario? «Non lo conosco a sufficienza, Del Turco è solo l’espressione del potere più infame. Non mi fa schifo perché non provo schifo verso nessuno e non mi permetto di dire una cosa del genere perché ho sempre rispetto per le persone. Per me, Del Turco resta quello che ho detto in aula: un bugiardo, un bugiardo patologico. Per il resto, se ne riparla in appello».
«Vittima di Angelini e dei poteri forti» Del Turco: «Mi ha sacrificato per salvare la sua famiglia La mia colpa? Farmi troppi nemici, ecco i nomi...» «Lei ha visto troppe puntate di Perry Mason», gridò Angelini all’avvocato Caiazza che minacciò di querelare l’imprenditore. Nell’udienza successiva, Angelini andò a stringere la mano all’avvocato di Ottaviano Del Turco in segno di tregua. Non sembra finire, anche all’indomani della sentenza, l’antagonismo dei due imputati maggiori usciti con le ossa rotte dal verdetto: Del Turco è stato condannato a nove anni e sei mesi e Vincenzo Angelini a tre anni e sei mesi. Eppure la sentenza ha modificato il capo d’imputazione perché i 15 reati di concussione per cui è stato condannato l’ex presidente sono stati riqualificati in corruzione – un reato un po’ meno grave della concussione – e che esclude la minaccia, l’estorsione, nella richiesta di soldi. L’altro effetto è stato quello di far rinviare la sentenza ai pm per valutare se ci siano gli estremi per aprire un fascicolo di corruzione nei riguardi di Angelini. Del Turco, negli ultimi mesi non ha partecipato più alle udienze, perché ha problemi di salute.
PESCARA Del Turco, con che stato d’animo si è svegliato e come affronta la nuova partita? «Mi sono svegliato con una grande impressione. Diceva qualcuno “ci si sveglia con il sentimento dell’amaro” che è quello che ho provato, un sentimento nuovo per me: il sapore dell’amarezza. Ma la cosa strana è che, poi, è iniziata la giornata e ho iniziato a ragionare sulle contraddizioni, sulle incongruenze della sentenza e il mio stato d’animo è cambiato, è aumentata la serenità: è solo un pezzo del processo». Perché? «Perché da ieri si è aperto un processo nuovo. Quello di questi anni aveva al centro un’accusa importante, la concussione, che è diventata corruzione. Ma è sulla concussione che sono stati ascoltati centinaia di testimoni per sostenerla o negarla. E, adesso, che si fa? Si richiamano tutti i testimoni per dirgli ci siamo sbagliati?». Che cosa l’ha sconcertata di più negli anni del dibattimento? «Fino a quando ho potuto, prima del mio male, ho partecipato a tutte le udienze del processo. Certo non venivo a Pescara per turismo ma perché ho avuto rispetto per il collegio. Quello che mi ha sconcertato è stato l’atteggiamento del pentito: è stato eccezionale. Ho una lunga esperienza del pentitismo, l’ho vissuto in moltissime procure e ho visto una diversità di trattamento. Vincenzo Angelini faceva quello che voleva, urlava , interrompeva, portava i certificati medici fasulli. Angelini dice “vado a prendere il giubbino perché è quello che portavo quel giorno” e poi scopriamo dall’azienda che l’ha realizzato che il giubbino era di quattro anni dopo». Perché la difesa e l’arringa del suo avvocato Caiazza sono rimaste incomprese? «Caiazza ha messo in crisi con una logica indiscutibile l’impianto accusatorio. Caiazza è stato capito eccome e io, il giorno dell’arringa, l’ho seguito per sette ore guardando l’atteggiamento del collegio. Sei occhi, sei orecchie erano tutti puntati su Caiazza». Perché si sente come Tortora? Cosa l’accomuna all’ex conduttore di Portobello? «Non ho tirato fuori io il paragone con Tortora. Io per cinque mesi mi sono trattenuto, ho fatto uno sforzo ma non perché fossi malato. Io mi vergognavo, avevo il terrore perché un grande filosofo diceva che quando una cosa accade la prima volta è un dramma, ma quando la storia si ripete diventa grottesca. Io ho paura del grottesco anche se sono stato amico di Tortora e sono stato una delle persone che ha parlato con lui al telefono. Ne ho sentito la voce, ho sentito dalla voce che se ne stava per andare, perché la sua voce era flebile. Mi è venuto in mente Tortora non per la mia malattia, ma per la condanna: perché lui era stato condannato a dieci anni e io a nove anni e sei mesi: sconcertante, no? In questi anni sì, ho sentito a volte la compagna di Tortora che mi ha dato la sua solidarietà». C’è qualcosa che si rimprovera negli anni della sua presidenza interrotta dall’inchiesta? «Mi rimprovero di aver costruito una rete di nemici potentissima. Vuole l’elenco? La prima è l’Associazione italiano dell’ospedalità privata (Aiop), poi la Società autostrade, il Consorzio acquedottistico di Pescara che diceva che l’acqua era buona e invece non era vero». Ha conservato l’idea originaria sui “poteri forti” di cui parlò all’inizio dell’inchiesta? «Sì, non ho cambiato opinione su quanto siano forti perché l’ho visto sulla mia pelle». Che opinione aveva di Angelini prima dell’inchiesta? «Non ho mai cambiato idea su Angelini: ogni volta da parte sua arrivava questa penosa richiesta di aiuto, di una montagna di persone che lo volevano uccidere, ma io non ho mai parlato di Angelini con il pm Giuseppe Bellelli. Io non mi sono mai interessato ai suoi guai giudiziari». C’è una qualità del carattere di Angelini che salva? «No, nulla, anzi forse una c’è. Forse il suo amore senza fine per la sua famiglia per cui è stato pronto a sacrificare qualunque cosa che, a un certo momento, l’ha portato a sacrificare il presidente della Regione». Anche lei, come Angelini, è stato circondato dalla sua famiglia. Suo figlio Guido non ha mai perso un’udienza. «Ho pubblicato su Facebook la canzone di Cat Stevens intitolata “Father and son”, Padre e figlio, e l’ho dedicata a mio figlio Guido perché ha sopportato un peso troppo grande per la sua età e il suo ruolo. Devo tutto a mio figlio ed è bello scoprire i figli quando si ha bisogno di loro». Come cambia una prova del genere? «Molto, perché è una prova terribile soprattutto per una persona libera come me, nata con un sentimento per la libertà quasi assoluto, io che ho fatto della militanza socialista un nucleo della mia libertà». In cosa si sente cambiato? «Spero di non virare verso il peggio, ma forse mi sento un po’ meno disponibile». Guardando il suo profilo Facebook sembra disponibile al dialogo. «Facebook è stato la mia salvezza perché mi ha consentito di parlare con 6 mila persone e poter discutere ogni giorno con qualcuno che avesse voglia di confrontarsi con me sul processo ma anche su altro. Perché, in fondo, ho trascorso questi cinque anni chiuso dentro casa tra Collelongo e Roma, come se fossi agli arresti domiciliari. Mi sembravo un ammalato anche quando non lo ero e poi lo sono diventato. La differenza tra i miei arresti domiciliari e quelli veri è che questi sono una costrizione. Eppure mi ricordo di quando camminavo per Roma come un matto e spesso dovevo fermarmi. Non l’ho più fatto». L’ex procuratore capo Nicola Trifuoggi ha detto che non ci sono né vinti né vincitori ma che la sentenza risarcisce gli abruzzesi. Che ne pensa? «Forse Trifuoggi preferiva il periodo in cui gli abruzzesi erano costretti a pagare un costo drammatico alla società. Trifuoggi è libero di ritenere che la sanità sia un pozzo senza fondo: come cittadino lo può fare, è un suo diritto. Da procuratore non avrebbe potuto». Che cosa le ha ridato speranza in questi giorni? «Ricevere telefonate da persone sconosciute, persone che si sono messe a piangere in un modo che mi ha colpito. Io ho cercato di resistere, lo dovevo a mia moglie e alla mia famiglia, perché avevo bisogno di mantenere solo gli occhi lucidi. La speranza me l’ha ridata la montagna di solidarietà ricevuta. Il processo, comunque, continua, perché la Costituzione ha deciso che ci sono tre livelli. E prima o poi spero di trovare il mio giudice di Berlino».
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