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Pescara, 16/05/2025
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25/07/2013
Il Centro
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Processo Sanitopoli - «Stavo male, ora peggio Mi hanno tolto tutto». Si sfoga Bernardo Mazzocca, ex assessore condannato a due anni di carcere «Pensavo di vedere le cliniche tra gli imputati, ma erano loro ad accusare» |
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PESCARA «Prima stavo male, adesso sto peggio». A tre giorni dalla sentenza del processo sanità l’ex assessore regionale alla sanità Bernardo Mazzocca, 54 anni, di Caramanico, non riesce a capacitarsi dei 2 anni di condanna e di quell’accusa di associazione per delinquere – «non ho capito cosa c’entro, forse io non me ne sono accorto» – mentre il collegio l’ha assolto dal reato di concussione, il più grave per un amministratore. Mazzocca non ha mai perso un’udienza del processo sanità, l’inchiesta che è diventata lo spartiacque della sua vita e affrontata con un unico tarlo, quello che ha sempre ripetuto in aula: «Io ho tagliato alle cliniche private». A tre giorni dal verdetto, Mazzocca racconta il suo calvario. La vigilia, l’attesa, la sentenza: come ha vissuto, Mazzocca, questi tre momenti? «La vigilia della sentenza l’ho vissuta come una giornata qualunque andando al mare con i miei figli di 20 e di 14 anni. In questi anni, loro hanno seguito il processo quasi come me e non è stato facile per loro: mia figlia prese anche l’edizione straordinaria del Centro del 14 luglio 2008. L’attesa? C’ho messo la faccia come avevo sempre fatto prima venendo in aula». Perché ha partecipato a tutte le udienze? «Perché, come si suol dire, mi sono difeso nel processo e non dal processo. Anche se, poi, in 5 anni ho potuto parlare una volta sola, lunga, ma sempre solo per una volta. E devo ringraziare prima l’amico e poi l’avvocato Ugo Di Silvestre per come mi ha seguito in questi anni: sapeva perfino quello che mangiavo. Io non ho mai cambiato il mio status: ho la stessa macchina usata di prima. Quando facevo l’assessore e avevo la carta di credito della Regione non l’ho mai usata in 3 anni: mai». La prima cosa che ha pensato alla lettura della sentenza? «Incredulità e ancora adesso. I miei familiari? C’erano le dirette, mi hanno chiamato in tanti e in questi anni non mi posso lamentare della solidarietà che ho ricevuto. Ma è stato lo stupore il primo sentimento a prevalere». Ha avuto un sogno ricorrente in questi anni? «Sì. In questi anni ho avuto sempre in mente l’interrogatorio di Vincenzo Angelini. Per 5 volte i pm gli domandano “ha dato soldi a Mazzocca?” e per 5 volte lui risponde: “No”. Poi, c’è la storia delle ragazze, quell’accusa di concussione, la più grave, da cui sono stato assolto. Più che un sogno, l’interrogatorio di Angelini è stato il mio mantra». Ci sono stati dei momenti in cui ha provato un po’ di sollievo? «Alcuni. Quando ha parlato il mio avvocato, quando hanno deposto i dirigenti testimoniando correttamente il lavoro che avevo fatto in tre anni, in quei 1000 giorni di fuoco. Poi, quando ho parlato io. Aspettavo da 5 anni: avevo spiegato ai pm la situazione ma hanno mantenuto un’altra strada. Evidentemente sono stato meno credibile di altri». In questi anni, è cambiato l’atteggiamento della gente nei suoi confronti? «No, le persone che incontravo per strada mi domandavano incredule: “Ma perché ci stai?” oppure “non posso credere solo perché sei stato assessore alla sanità”. Ecco, tutti lo sanno, tutti lo pensano, tranne chi ha chiesto la mia condanna. Alla fine, i pronostici sono stati sbagliati». C’è una lezione che ha tratto? «Quella del paradosso. Sono stato il primo e unico a tagliare i budget, le tariffe, i posti letto, a fare i controlli ai privati e, oggi, dico: mal mi colse. Quelli che li hanno aumentati hanno chiuso con lietezza la loro esperienza nella sanità. Io mi ritenevo nel giusto e rifarei tutto da capo. Ma forse io ho visto un processo alla rovescia. Mi aspettavo che ci fossero imputate le cliniche e invece erano sedute ai banchi delle parti civili. Adesso mi dicono che io dovrei pure dare i soldi alla Regione, dopo che gli ho fatto recuperare un miliardo: è tutto al rovescio. L’altro aspetto è che c’era un Angelini tartassato mentre l’Aiop di Luigi Pierangeli (Associazione italiana dell’ospedalità privata) diceva che l’avevamo favorito. O è la prova ontologica dell’esistenza di Dio come diceva san Tommaso d’Aquino: o vera l’una o è vera l’altra e invece né l’una né l’altra. Le tariffe? C’è stato un taglio del 15% e ai miei tempi, tra il 2005 e il 2008, si facevano 30 mila controlli, ispezioni fino al 50%. Ma, evidentemente, sono io che ho una visione rovesciata». C’è qualcosa che ha perso per sempre della vita di prima? «Sì, mi è stata tolta la cosa a cui tenevo di più: la politica. L’avevo fatta per 30 anni al mio paese, Caramanico, negli enti locali e nessuno mi aveva mai detto, accusato di nulla. Io non ho ville, non ho famiglie facoltose alle spalle». Che lavoro ha svolto in questi anni? «Dopo la revoca dell’obbligo di dimora sono tornato a lavorare nell'ufficio protocollo della Provincia, di cui sono un dipendente dal 1988. Anche questo mi è toccato: attingere a quelle antiche conoscenze che mi erano derivate da una laurea con lode in Economia e commercio e ricordarmi della statistica, delle percentuali e rimettermi a studiare. Oggi sono un medio impiegato». Come ha conciliato il lavoro con la presenza alle 77 udienze? «Consumando le mie ferie per non perdere le udienze, anche quelle che mi hanno più ferito. Non avrei immaginato di essere sbeffeggiato durante la requisitoria: l’imputato ha diritto alla sua dignità e io ho partecipato seduto, corretto». Qual è stato il momento più drammatico? «Cinque anni per arrivare al primo grado è un’allucinazione. Quando mi hanno arrestato ai domiciliari io pensavo che ci processassero per direttissima perché per cinque giorni non ho potuto parlare con il mio avvocato. Vedevo in tv la gente in conferenza e io non potevo parlare con il mio avvocato. Poi sono trascorsi tre anni prima di iniziare, con quello che costa in termini umani ed economici». Si è sentito tradito da qualcuno? «No, penso che ci sono persone che sbagliano. Dopo la sentenza non ho sentito Ottaviano Del Turco, ma anche prima ero molto autonomo: Del Turco mi ha lasciato fare quello che volevo». La sua vita privata quanto ne ha risentito? «Ho potuto sopportare questa prova grazie alla pazienza di chi mi sta attorno: i miei figli, mia madre e un fratello che vive a Sidney e si è fatto un’idea da lontano, leggendo. Ho il rammarico enorme di non aver potuto accompagnare i miei figli a scuola». I politici come si sono comportati con lei? «La politica la seguo da osservatore, non ho più partecipato a una riunione. Non c'è dubbio che ci sia stato un generale silenzio assordante sulla nostra situazione che, poi, si è attenuato. Ma i singoli ci sono stati e, tra questi, Franco Marini. Mah, mi dovrei vergognare di aver fatto applicare le leggi? Mi dovrei vergognare di aver tagliato il doppio al privato rispetto al pubblico? No e sa qual è la metafora di questo processo?». Qual è? «La vendita di Villa Pini con la stessa lotta fratricida: siamo allo stesso punto di 5 anni fa». Riuscirà a recuperare un po’ di ottimismo? «No. Sono realista. Il mio più stretto collaboratore Angelo Bucciarelli, difeso sempre da Di Silvestre, è stato assolto e sono contento per lui, mi ha alleviato la sofferenza. In questi anni, lui è stato male per me e io per lui e sono certo che gli sarà dispiaciuto non poter gioire per me. L’unica cosa positiva è che almeno non torno più nell’aula 1. Nel frattempo tengo da parte le ferie per l’appello».
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