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Data: 02/08/2013
Testata giornalistica: Il Messaggero
Ascesa e caduta in 20 anni il berlusconismo è al bivio

Berlusconi non andrà in carcere e potrebbe usufruire dell’affidamento ai servizi sociali. Ma c’è il rischio, concreto, previsto dalla legge Anticorruzione del 2012, di decadere dalla carica di senatore.
Ciò a causa della forzata abdicazione del padre, che certo difficilmente mollerà ad estranei la sua creatura politica. Il ritorno a Forza Italia, in vista di un rilancio del centrodestra, è stato ampiamente annunciato, ma senza il Cavaliere a guidare il partito sarà tutta un’altra storia rispetto al passato. Nell’immediato i falchi premeranno per andare in piazza a chiedere elezioni anticipate, le colombe per salvare l’esperimento delle larghe intese.
LA RESA DEI CONTI
Con Berlusconi condannato in ultimo grado il Pd difficilmente potrà evitare la resa dei conti interna avente come oggetto il governo e l’innaturale maggioranza che lo sostiene. Dinnanzi ad una sentenza del genere come sostenere, magari coprendosi con le parole del Capo dello Stato, che i problemi giudiziari del Cavaliere vanno tenuti distinti dagli equilibri parlamentari? E dunque rischia il governo presieduto da Letta, per quanti inviti alla ragionevolezza e al buon senso siano circolati in queste ore.
In attesa di capire tutti i possibili sviluppi, viene spontaneo guardare al passato, a quest’ultimo ventennio integralmente dominato da Berlusconi, che sembra chiudersi nella stessa maniera traumatica con cui si era conclusa la storia della Prima Repubblica: con un cortocircuito tra giustizia e politica, con la prima che condanna la seconda e ne mette fuori gioco i protagonisti. Un ventennio di attese, di errori e di promesse inevase che nei libri di storia sarà definito inevitabilmente “era berlusconiana”. E dunque proprio a Berlusconi, al modo con cui si è svolta la sua avventura politica, si dovrà di preferenza guardare, in sede di bilancio e di critica, per capire cosa è accaduto dal 1994 ad oggi, per capire soprattutto come e perché ci siamo ridotti nello stato infelice e smarrito in cui siamo.
IL MARZIANO
Entrò in scena, il Cavaliere, facendo grandi e allettanti promesse, ostentando un programma liberale e riformista inedito per l’Italia: meno burocrazia, più mercato e dunque più lavoro, meno tasse, uno Stato più leggero ed efficiente. Mise facilmente alle corde un intero ceto politico, delegittimato dalla corruzione dilagante e ormai ideologicamente consunto. Era un imprenditore vincente, un uomo di sport, un creativo e un innovatore, umanamente con una marcia in più rispetto a tutti i possibili contendenti: agli italiani venne spontaneo accordargli una larga fiducia a dispetto del “teatro politico” andato in scena per un cinquantennio. E insieme ad essi creò, dandogli legittimità sociale, una cosa che prima non esisteva e che è destinata a sopravvivergli: il centrodestra, l’Italia dei moderati, un vasto blocco sociale unificato dall’avversione alla sinistra e senza più complessi nei confronti di quest’ultima.
Vinse le elezioni contro ogni previsione, guardato dai partiti rivali come un marziano che presto sarebbe tornato sul suo pianeta. In realtà divenne il perno della vita politica e pubblica del Paese, del quale ha finito per occupare e saturare l’immaginario collettivo con le sue parole e la sua figura fisica. La sua prima – qualcuno dice unica – rivoluzione fu il modo radicale e definitivo con cui innovò la comunicazione politica attraverso le regole del marketing e la tecnica dei sondaggi, ricorrendo ad uno stile espressivo diretto e semplice, sfruttando al meglio la sua conoscenza dello strumento televisivo e della psicologia delle masse. La sua parola chiave, semplice ed evocativa, base di tutta la sua successiva retorica, fu libertà: in economia e nella vita sociale. Predicò il merito personale, alimentò il mito dell’uomo che si fa da solo e tolse l’interdetto pubblico sulla ricchezza privata: per cattolici e comunisti non andava ostentata, era persino peccato, per lui era da esibire come fattore di successo e strumento di seduzione.
LA LEADERSHIP
Agli italiani, inclini al sentimentalismo e facili a perdersi dietro le promesse ben confezionate, vendette sogni sotto forma di punti programmatici. Li ha sempre conquistati, nel tempo, accarezzandoli per il verso del pelo, dando loro la certezza che non li avrebbe governati col pugno dello statista, bensì assecondati nei loro piccoli vizi, tantomeno avrebbe intaccato i loro consolidati privilegi. Il suo appeal, del resto, non è mai nato dalle cose fatte, dal rispetto della parola data, dall’idea di sacrifici da condividere oggi in vista di un benessere futuro, che dovrebbe essere la regola del buon governante, ma dagli annunci regalati col sorriso, da un decisionismo fatte di continue dilazioni e concessioni, dall’invito rivolto al popolo a godersi il presente dimenticando il passato (che è sempre fonte di divisioni) e senza troppo preoccuparsi del domani (che è sempre fonte di ansia). Nato liberale e liberista, si scoprì strada facendo democristiano incline al compromesso e all’accordo quale che sia. Da decisionista intenzionato a cambiare l’Italia divenne mediatore e attendista interessato a conservare lo status quo. L’uomo del fare lasciò ben presto il posto all’uomo del dire, che avanzando con gli anni cominciò a scoprire pubblicamente certe sue debolezze e ataviche inclinazioni. Ad esempio la vanità abbinata all’esibizionismo e al gusto teatrale, che divennero la base della sua politica estera all’insegna delle pacche sulle spalle. Poi il gusto innato per gli affari, che rese impossibile sin dal primo momento una netta separazione tra i suoi interessi privati e quelli dello Stato. Infine il suo amore sconsiderato per le donne, un sensualismo paganeggiante divenuto nella tarda maturità satiriasi fuori controllo, da cui è discesa gran parte della pessima e triste fama che oggi lo circonda a livello mondiale.
IL MARTIRE
Ma tutto ciò – un bilancio comunque largamente in passivo rispetto alle premesse e alle speranze sollevate a suo tempo da Berlusconi – quasi si perde rispetto alla guerra che l’ha visto impegnato sin dal primo giorno contro le “toghe rosse” e che sembra essere giunta ieri al capolinea. Un pezzo di magistratura, mossa da intenti purificatori, probabilmente gli si è accanita contro più del lecito, ma lui sull’aura di martire e perseguitato ha costruito parte significativa del suo consenso, tralasciando la possibilità di realizzare una seria riforma della giustizia. Cosa farà adesso il Cavaliere è difficile da dire, visto il suo perdurante silenzio, frutto certamente di una rabbia profonda. Ma c’è da pensare, al di là del suo destino personale, ai milioni di italiani che lo hanno votato nel corso degli anni, ad un’area politica che in questo momento è certamente smarrita e confusa. Passato Berlusconi, finirà anche il berlusconismo?

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