Al lavoro sul nodo incandidabilità: vi sarebbero appigli per non applicarla. Domani a Roma manifestazione
del partito in piazza SS Apostoli
ROMA Il Pdl – o, meglio, la futura Forza Italia – si prepara a tornare a votare. Per decisione di un partito che offre tutto se stesso a Silvio Berlusconi e che, se non ci saranno ripensamenti, è pronto a scendere in piazza, quella di Santi Apostoli a Roma, già domani pomeriggio e che ormai ragiona sulla data del 27 ottobre per chiamare gli italiani alle urne. Un partito, insomma, deciso a manifestare tutta la sua indignazione per la condanna inflitta al Cavaliere, ma anche contro i giudici e per la riforma della giustizia. Berlusconi ha deciso la strategia d’attacco in un vertice ristretto tenuto a palazzo Grazioli a ora di pranzo tenuto insieme ai figli, Marina e Piersilvio, Gianni Letta, Alfano e pochi altri ministri, i capigruppo Brunetta e Schifani e i falchi, amici di sempre ma oggi come mai, Santanché e Verdini. Poi, nel tardo pomeriggio, la linea è stata sottoposta al plenum dei gruppi parlamentari tra grida di «Silvio! Silvio!», applausi fragorosi a scena aperta, momenti di vera e sincera commozione.
LE LACRIME DI ALFANO
«O la grazia o la difesa della democrazia», recita il mantra di Brunetta e di Schifani che lo recitano vitrei esattamente come il vicepremier Alfano che si commuove assai mentre mette «nelle tue mani, Silvio» le «dimissioni di tutti noi, ministri e sottosegretari di governo, per difendere la nostra storia». Oppure - se cioè la richiesta di grazia verrà rigettata da Napolitano, come è altamente probabile - allora il Pdl aprirà anche formalmente la crisi del governo Letta, governo al capolinea già nei fatti. Infatti, al di là se la frase testuale pronunciata ieri sera da Berlusconi nel discorso tenuto nell’auletta dei gruppi parlamentari di Montecitorio dove erano stati convocati, dalle 18 in poi, gli onorevoli Pdl sia stata un più strong e hard «siamo pronti per andare alle elezioni e possiamo vincerle» o un più light ed edulcorato «riflettiamo su quale sia la strada migliore per ottenere le elezioni e vincerle», non cambia la sostanza. La crisi anticipata, nei fatti, del governo Letta sarà subito provocata dalle dimissioni di massa prima dei ministri e dei sottosegretari pidellini, che hanno già tutti rimesso il loro mandato nelle mani del Cav, e poi da quella – a ieri sera, in verità, solo più minacciate che annunciate, anche perché dalle procedure parlamentari molto più complesse, senza dire del fatto che, alla Camera come al Senato, per ogni dimissionario è pronto un subentrante – di tutti i deputati (97) e senatori (91) nelle mani dei rispettivi capigruppo. Passaggi delicati e rischiosi, ma amazzoni e non, nessuno ha dubbi: «Io mi dimetto da parlamentare, voglio vedere chi non lo fa!».
TIMORI DI RIBALTONE
Resterebbero, però, molte incognite: il rinvio alle Camere di un governo Letta dimissionario per verificare se è possibile che trovi un’altra maggioranza e, magari, riformare la legge elettorale, quel Porcellum che il Pdl vuole invece tenersi stretto per andare a votare con liste bloccate e premio piglia-tutto, le dimissioni di Napolitano e il coagulo di nuove maggioranze, magari Pd-Sel-5Stelle. Tutte ipotesi e possibilità che lo stato maggiore del Pdl ha vagliato e sta vagliando, in queste ore, ma che cozzano contro una sola controdeduzione: il tempo è adesso, «il Pd ci vuole ammazzare a fuoco lento», «Napolitano ci ha tradito» e via così. Il risentimento dei falchi pidellini è infatti altissimo e molti di loro indicavano nei loro volti «fieri e soddisfatti» e in quelli, al contrario, «lividi e paonazzi» di colombe e ministeriali il climax del Pdl. Dal canto loro le colombe invitano ad aspettare e pazientare: «Nessuna decisione è stata presa», dicono sia Maurizio Lupi che Gaetano Quagliariello, «per Berlusconi prima viene il Paese». Eppure, i falchi e anche i consiglieri più stretti del Cav sono convinti che il tempo è ora e che, addirittura, a ottobre lo stesso Berlusconi potrebbe ripresentarsi al voto. Perché c’è chi è persuaso che tirando in lungo ci sia modo di aggirare l’ineleggibilità. «L'art. 11 delle preleggi e l'art. 25 comma 2 della Costituzione», come provava a spiegare ieri Giovanardi, «vietano l'applicazione di una norma penale più sfavorevole per il reo per condotte messe in atto prima della sua entrata in vigore. Al senatore Silvio Berlusconi pertanto non può applicarsi la pena accessoria della ineleggibilità sopravvenuta in quanto entrata in vigore nel 2012, mentre i fatti per cui è stato condannato risalgono a molti anni prima». Solo una tesi, certo. Eppure a questa tesi sono appese in queste ore le speranze del Cavaliere di restare alla guida delle sue truppe per molto e molto ancora.