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Pescara, 16/05/2025
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Data: 05/08/2013
Testata giornalistica: Il Centro
«Silvio martire, per lui pronti a tutto». Alcune migliaia di manifestanti giunti da tutta Italia sfidano l’afa. In cinquecento dall’Abruzzo. Famiglia Cristiana: «Si ritiri, no a successione familiare»

ROMA Nella fornace di via del Plebiscito, per scelta e per passione sgocciola, applaude e sbandiera con le forze residue il popolo di Silvio. Quelli che «lui è un mito e non sbaglia niente», come dice Filippo, pensionato di Ostia, che fende la folla con il cartello «tu risorgerai». Quelli come Ketty Gentile, globetrotter del Cavaliere, partita in pullman alle otto da Milano, arrivata a Roma alle 16 e già pronta a ripartire due ore e mezza dopo, a manifestazione finita: «Ogni volta ci chiedono se abbiamo pagato: no, l’unica cosa messa a disposizione è il pullman, il resto è di tasca mia» dice, poi spara su Beppe Grillo, «che chiede di rispettare le sentenze ed è un condannato per omicidio colposo» e su Nichi Vendola che «si fa giudicare dagli amici». I nemici sono i soliti: i giudici politicizzati che «dal ’94 stanno sempre addosso a Silvio», i comunisti, la sinistra e i giornalisti prezzolati: «Lei per chi scrive, scusi?». Si suda e a tratti si accusano colpi di calore per amore di «Silvio martire della giustizia» all’ombra clemente di Palazzo Grazioli, con i manifestanti che all’apparire dei fedelissimi del Cavaliere al balcone, da Daniela Santanchè a Renato Brunetta, si esaltano, applaudono e invocano: «Silvio, Silvio». Decine di altoparlanti sparano una musica che stordisce, ma la gente sopporta l’insopportabile, afa e volume, e canta l’inno di Forza Italia, e «Meno male che Silvio c’è». Dall’Abruzzo sono arrivati in cinquecento, con undici pullman e auto private, guidati dal coordinatore regionale e deputato Filippo Piccone. Nella strada trasformata in piazza si agitano le bandiere di Forza Italia e dell’Esercito di Silvio, e poi, sparute, quelle del Pdl e di Grande Sud, si avvistano i simboli della Lega e del Mir di Giampiero Samorì, mentre decine di cartelli inneggiano al leader – «Silvio più grande di Giulio Cesare», «Non mollare», «Io amo Silvio, io amo la libertà» – e spuntano le maschere di cartone del Cav: «Siamo tutti Silvio». Non è certo una folla oceanica, giusto poche migliaia, ma l’Italia di Berlusconi è tutta rappresentata, da Prato a Matera, dal Friuli alla Puglia, una mescolanza di dirigenti locali, iscritti e simpatizzanti che hanno viaggiato per ore per tributare al leader l’ovazione con cui alle 18.15 accolgono il suo arrivo. «Lo scriva: siamo pronti allo scontro armato coi comunisti, lui ci ha salvato» esagera Luigi De Luca, neurologo di Viterbo. «Per Silvio si può affrontare tutto» dice Nunzia Vitrani, partita da Canosa di Puglia all’alba. Roberta Rigon, coordinatore provinciale di Reggio, nonostante l’unica giornata di preavviso, ha organizzato un pullman: «Vogliamo dimostrargli che ci siamo, perché con questa sentenza hanno fatto quello che con la politica non sono riusciti a fare», e Manuela Fini, di Teramo, non nutre dubbi sul futuro: «Lui resta il nostro leader, è il nostro punto di riferimento per il cambiamento».

Famiglia Cristiana «Si ritiri, no a successione familiare»

«Dopo avergli espresso affettuosa solidarietà, fatta anche di piaggeria e sudditanza, e dopo aver elaborato il lutto, sarebbe bene che a chiedergli di fare un passo indietro, e questa volta per sempre, fossero proprio i parlamentari» di Silvio Berlusconi. Lo afferma “Famiglia Cristiana” in un editoriale del direttore Antonio Sciortino (foto). «In ballo - avverte il settimanale cattolico - non c'è solo il futuro politico dell'ex presidente Berlusconi, ormai settantasettenne, ma la stessa sopravvivenza del Centrodestra». Il Pdl dovrebbe dimostrare al contrario, secondo Sciortino, «che all'ombra del padre-padrone è cresciuta una nuova classe politica di destra, matura e preparata» lontana dalla «logica devastante del detto: “Muoia Sansone e tutti i Filistei”». E «va scongiurata anche ogni ipotesi di successione familiare, che continuerebbe a spaccare il Paese nel nome del berlusconismo».

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