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Data: 06/08/2013
Testata giornalistica: Il Centro
Decadenza di Berlusconi il nodo domani in giunta

Grosso: il Senato non può dire no , si aprirebbe un conflitto tra poteri dello Stato Soluzione politica: esclusa la grazia resta l’ipotesi di una commutazione di pena

ROMA È fissata per le 20 di domani sera la ripresa della seduta della Giunta per le immunità del Senato. Una seduta che si annuncia bollente, con il Pdl deciso a sostenere che l’ineleggibilità prevista dalla legge Severino anticorruzione per i reati superiori a due anni non può essere applicata a Berlusconi. Per il motivo che i reati per il quali il Cavaliere è stato condannato - questa la tesi - sono precedenti alle norme in questione. Molti illustri giuristi hanno già definito questa tesi quantomeno strampalata. L’ultima bocciatura è arrivata ieri da un avvocato del calibro di Federico Grosso, principe del foro di Torino, docente di diritto penale ed ex presidente del Consiglio Superiore della magistratura. Grosso afferma che la decadenza è imposta dalla legge e che in assenza di voto del Senato in questo senso si aprirebbe un serio conflitto tra poteri dello Stato. «Ci sono due interpretazioni contrapposte, ma io credo sia fondato ritenere che la decadenza e l'incandidabilità non siano un effetto penale della condanna, ma rientrino nelle misure amministrative, relative al diritto di elettorato passivo. Se è così, se si tratta di una misura di carattere amministrativo, non si pone alcun problema di retroattività e dunque è applicabile anche a Berlusconi», ha detto Grosso. Allo stesso modo, ha aggiunto, va respinta la tesi secondo la quale la legge Severino non si applica al Cavaliere poichè della sua condanna a quattro anni, tre sono già coperti da indulto. «Il testo Severino parla di entità della condanna, non della pena concretamente da eseguire. Ed esistono sentenze della Cassazione e del Consiglio di Stato che hanno già confermato la più rigorosa interpretazione delle norme in materia di eleggibilità», sottolinea Grosso secondo il quale il Senato non ha margini per non dichiarare la decadenza. «Si tratta di una legge dello Stato, votata dal Parlamento; una legge che deve essere applicata da chiunque e in primo luogo dall'istituzione che l'ha approvata. Certo il Parlamento potrebbe anche votare contro; ma in questo caso si aprirebbe un conflitto tra poteri dello Stato». Un conflitto lacerante che porterebbe le parti davanti alla Corte Costituzionale. La strada per tentare un “salvataggio” di Berlusconi dall’esecuzione della condanna insomma è molto stretta. La grazia del Presidente della Repubblica - che andrebbe chiesta dal diretto interessato o da un suo stretto familiare - sembra già esclusa poiché il condannato ha carichi pendenti (nel processo Ruby gli sono stati comminati 7 anni oltre all’interdizione, stavolta perpetua, dai pubblici uffici). Tuttavia, le norme affermano che la sola presentazione della domanda di grazia fa scattare il differimento della pena di sei mesi in attesa della risposta. In teoria il presidente potrebbe però commutare la pena (da detentiva a pecuniaria) come già fatto nel caso Sallusti (il direttore del Giornale condannato a 14 mesi per diffamazione). Il codice lo consentirebbe anche per l’evasione fiscale. Ma non è chiaro che fine farebbe la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici sulla cui durata si dovrà riesprimere la corte di Appello di Milano (chiamata dalla Cassazione a rideterminare al ribasso i 5 anni inflitti nel processo Mediaset). Causa pausa feriale, intanto, al leader Pdl resta tempo fino al 16 ottobre per chiedere una pena alternativa alla detenzione come l’affidamento ai servizi sociali o gli arresti domiciliari (generalmente disposti dalla magistratura di sorveglianza milanese per le pene entro i 12 mesi causa il sovraffollamento carcerario). Impensabile che sia il condannato a decidere in ultima istanza dove e come scontare la pena. In questo clima - con 321 no e 94 sì - il Parlamento ha bocciato ieri un emendamento del M5S al decreto carceri che sopprimeva la cosiddetta norma salva Previti ovvero la possibilità per gli ultrasettantenni di scontare la pena ai domiciliari e non in carcere. «Abbiamo votato no perché la norma esula dal decreto in esame essendo prevista dall’articolo 47 ter dell’ordinamento penitenziario», ha spiegato la deputata Pd Donatella Ferranti mentre la svuotacarceri, incassato l’ok della Camera, torna ora all’esame di palazzo Madama.

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