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Pescara, 16/05/2025
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Data: 07/08/2013
Testata giornalistica: Il Messaggero
«Berlusconi sapeva» bufera su Esposito. Il Pdl insorge: riflessi sul verdetto. Il presidente della sezione della Cassazione smentisce l’intervista ma il Mattino conferma e diffonde l’audio.

ROMA Pubblicata, smentita, infine confermata dalla messa in onda via web dell’audio della discordia. L’intervista del presidente della sezione feriale della Cassazione Antonio Esposito, rilasciata ieri al Mattino, esplode nella polemica politica del dopo sentenza Mediaset. Perché il presidente del collegio che ha condannato Silvio Berlusconi a quattro anni, spiega che l’ex premier è stato ritenuto colpevole in quanto sapeva del sistema di false fatturazioni con cui venivano pagati i diritti tv di Mediaset: «Teoricamente, il capo potrebbe non sapere. No, tu venivi portato a conoscenza di quel che succedeva. Tu non potevi non sapere perché Tizio, Caio o Sempronio hanno detto hanno detto che te lo hanno riferito. E’ un po’ diverso dal non poteva non sapere». E aggiunge anche che non c’è stata nessuna fretta nel fissare la data della discussione: «E’ stato un atto dovuto per qualunque processo con qualunque imputato. C’era l’indicazione dell’ufficio ”Esame preliminare dei ricorsi”, secondo il quale la prescrizione sarebbe scattata il primo agosto. E, quindi, a me come presidente della sezione feriale non restava altro che fissare la data in tempo non utile ma utilissimo e ravvicinato onde evitare la prescrizione».
GUERRA DI SMENTITE

La battaglia a colpi di smentite e conferme è andata avanti a ritmi battenti per tutta la giornata. Prima una rettifica di Esposito, poi la conferma del Mattino che spiega di avere la registrazione di tutta la conversazione col magistrato, poi una lunga nota dell’ermellino, al pomeriggio, in cui sostiene di avere un testo dell’intervista, inviato via fax dal giornale in cui domanda e risposta su Berlusconi non ci sono. E infine, ieri sera, la pubblicazione dell’audio via web sui siti di Mattino e Messaggero in cui le parole di Esposito risultano essere le stesse pubblicate dal quotidiano napoletano.
Le reazioni del Pdl sono comunque incandescenti. A cominciare da uno degli avvocati dell’ex premier, Niccolò Ghedini: «Il fatto in se è gravissimo e senza precedenti. L’accaduto non potrà non avere dei concreti riflessi sulla valutazione della sentenza emessa», dice. Mentre i capigruppo del Pdl al Senato e alla Camera, Renato Schifani e Renato Brunetta parlano di «infortunio, gravissimo, a conferma dell'ineluttabilità di una riforma che ponga fine alla sfibrante contrapposizione tra giustizia e politica».
La Cassazione, però, spiega che l’intervista non può avere in nessun modo conseguenze sulla sentenza, anche se le motivazioni non sono ancora state rese pubbliche. Il verdetto «è già stato emesso e sancito con la pubblica lettura del dispositivo in aula al termine dell’udienza», dice la nota diffusa dagli ermellini. Nei processi penali della Cassazione, spiegano i supremi giudici, «la decisione viene resa nota subito e non solo nel momento in cui vengono depositate le motivazioni». Ciò nonostante, una verifica sul piano disciplinare ci sarà. Il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri ha chiesto al primo presidente Giorgio Santacroce «elementi informativi», anche se non è stata avviata alcuna azione sul piano disciplinare. Mentre il Csm ha comunque deciso di aprire una pratica, su richiesta dei tre consiglieri laici del Pdl che sottolineano la «gravità del comportamento del magistrato»: «Non sfuggirà a codesto comitato - scrivono i consiglieri Filiberto Palombo, Bartolomeo Romano e Nicolò Zanon - la gravità della scelta di rilasciare un’intervista dal contenuto di quella in oggetto da parte del presidente del collegio giudicante».
L’ANM

Anche l’Associazione nazionale magistrati prende le distanze da Esposito. «C’è una valutazione di inopportunità in generale per le dichiarazioni fatte dai titolari dei procedimenti - dice il presidente Rodolfo Sabelli - ma questo non ha a che vedere con profili disciplinari o con effetti processuali perché la sentenza è irrevocabile».

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