ROMA All’indomani della dichiarazione di Giorgio Napolitano sulla condanna di Berlusconi, il dibattito si concentra sull’eventualità di una grazia e sulle sue possibili ricadute politiche, mentre lo stesso Cavaliere non ha ancora affatto deciso sull’opportunità di chiederla, dal momento che questa scelta implicherebbe l’accettazione della condanna, cosa sulla quale l’ex premier appare assai reticente. Ne è testimonianza la dichiarazione di uno dei suoi avvocati, l’onorevole Piero Longo, che prima afferma a Radio Capital di essere convinto che «prima o poi la grazia verrà formalmente richiesta» e poi fa una precipitosa marcia indietro, nonostante la registrazione diffusa dall’emittente. Alla richiesta di grazia vengono invece date «buone probabilità, anche se ancora non è stato deciso niente» da un altro legale del Cavaliere, il professor Franco Coppi che più di altri sembra tenere oggi in mano le fila della vicenda giudiziaria del leader azzurro. Intervistato da Affaritaliani.it, il principe del foro ha affermato che la richiesta di grazia «è una delle soluzioni all’attenzione, anche se ce ne sono delle altre», prima di pronunciarsi sulle quali, però - ha detto Coppi - «bisognerà attendere le motivazioni della Cassazione sulla sentenza». La grazia sembra comunque non dover incidere sull’altra rilevante questione legata alla condanna del Cavaliere e cioè quella della incandidabilità.
IL NODO INCANDIDABILITA’
Lo afferma il presidente della Giunta per le elezioni del Senato, Dario Stefàno (Sel), osservando che «l’istituto della grazia, al di là dei tempi e delle forme di una sua eventuale concessione, non produce alcun effetto sulla incandidabilità. La condanna infatti, come ci ha anche ricordato Napolitano, resta immutata con il carico delle sue conseguenze». Quindi, aggiunge Stefàno, «un pronunciamento ai sensi della legge Severino che esclude la candidabilità per condanne superiori ai due anni è inevitabile e doveroso nel rispetto delle procedure parlamentari che è mio specifico onere far rispettare».
La nota del Quirinale unanimemente apprezzata dalle forze della maggioranza, viene invece duramente criticata dal leader di M5S, Beppe Grillo, che commentando la dichiarazione del capo dello Stato, afferma che «se Berlusconi sarà salvato moriranno le istituzioni. Napolitano uscirà di scena nel peggiore dei modi. Il mio consiglio è che rassegni ora le dimissioni». L’ex comico passato alla politica dice inoltre che «un condannato per frode fiscale non può essere interlocutore della presidenza della Repubblica» e che la grazia, «la si chiami come si vuole: agibilità politica o clemenza, non gli può essere concessa». Al leader pentastellato si aggiunge il suo seguace e vicepresidente della Camera Luigi Di Maio che, oltre all’invito a Napolitano a «fare un passo indietro», ne ipotizza - come fa anche Antonio Di Pietro - la messa in stato di accusa ad opera del Parlamento ai sensi dell’articolo 90 della Costituzione.
Diametralmente opposto il giudizio di Pier Ferdinando Casini il quale, sottolineato come «certi consigli e certe attese rivolti verso l’intervento di Napolitano non avevano ragione di esistere», afferma che «con la sua nota il presidente della Repubblica ha messo tutti di fronte alle proprie responsabilità: nessuno ha più alibi», conclude Casini, sia sui temi della giustizia che sull’attività del governo per la ripresa.
Niente comizi sulle spiagge, il Cavaliere abbassa i toni
ROMA Cupo, rabbuiato, di umore più nero del solito, Silvio Berlusconi rimugina, chiuso nella sua villa di San Martino ad Arcore, una casa che ormai è diventato un fortino, sulla lunga nota che Giorgio Napolitano ha diffuso l’altro ieri. Sono tre le strade che Silvio Berlusconi sta valutando: la prima è quella dei cosiddetti falchi, che gli suggeriscono di non fidarsi del Colle e di far saltare il banco per arrivare al voto anticipato il più presto possibile. Eppure è proprio questa, a oggi, la strada più lontana dalle sue corde. La seconda è quella delle colombe che lo invitano a accettare in toto il percorso indicato da Napolitano, a partire dalla stabilità del quadro politico, niente crisi, dunque, men che meno elezioni.
LE TRE STRADE
La terza che oggi sembra prevalere nell’animo del Cav è una strada intermedia: prevede di imboccare lo stretto sentiero che passa per la grazia e la richiesta di affidamento ai servizi sociali per scontare l’anno di pena che gli grava sulle spalle e riuscire a liberarsi anche, pur se tra nove-dieci mesi, persino del gravame delle pene accessorie, a partire dall’interdizione dai pubblici uffici e dall’incandidabilità che tanto gli brucia. Indeciso a tutto, come mai è stato, impotente di fronte allo scenario da tregenda che Gianni Letta gli ha prospettato in caso di rottura e di guerra totale con il resto del mondo con parole che, persino al Cav, sono apparse definitive («il Quirinale non ci darà mai le elezioni»), Berlusconi si sarebbe rassegnato a fidarsi di Letta e, dunque, del Colle dando luce verde ai suoi avvocati (Coppi, Ghedini, Longo, ieri di nuovo ad Arcore) per il grande passo. Chiederla, appunto, la grazia. Non lui di persona, certo, ma i suoi avvocati, appunto, o addirittura i suoi figli.
LA CAMPAGNA MUTILATA
Ecco che, dunque, la campagna di Ferragosto, quella che doveva partire oggi in tutte le spiagge e le città e preparare la campagna d’inverno, quella elettorale, è già (quasi) abortita. Oggi voleranno, dal Nord al Sud Italia, gli aerei con la scritta Forza Berlusconi e Ancora in campo per l’Italia, claim della medesima campagna di affissioni di 6x3 già partita nelle principali città del Belpaese, ma niente comizi nei luoghi di vacanza (men che meno con Berlusconi in persona), giusto qualche banchetto raccolta firme sulla giustizia e poco più. E ha voglia il suo ideatore, Antonio Palmieri, ad assicurare che «la campagna d’estate nasce da una sentenza ingiusta contro cui vogliamo reagire ed è stata ideata prima della nota del Colle». E ha voglia pure Ignazio Abrignani, responsabile elettorale del Pdl e braccio destro del coordinatore Denis Verdini, a confermare, con il volo aereo di dannunziana memoria che partirà oggi, la rinascita di Forza Italia, prevista a Roma il 14 settembre.
GRANDI MANOVRE INTERNE
La verità è che, almeno a star a oggi ché domani, nel Pdl, già è e sarà un altro giorno, hanno vinto le colombe (ma anche le neonate aquile azzurre…) e perso i falchi. Mariastella Gelmini lo dice in chiaro in un’intervista radiofonica («le colombe sono state sconfitte»), salvo poi affrettarsi a precisare con tutto un giro di telefonate che lei si riferiva a «falchi e colombe del Pd». Sta di fatto che sono parole che condividono in tanti, in queste ore, tra gli azzurri.
Ora i problemi sono due. Uno è tutto politico e riguarda il futuro del Pdl. Le colombe già tubano con i centristi, facendo inviperire mezzo partito. Come dice Lucio Malan: «Io non voglio finire a fare un partito del 15% ininfluente e isolato, per me in campo c’è solo Berlusconi». L’altro problema è politico-giudiziario e riguarda la futura agibilità politica del Cav. Il tema lo ha posto subito, e con chiarezza, la vicepresidente vicaria del Pdl al Senato Annamaria Bernini, non appena è uscita la nota di Napolitano («al cui riguardo il Messaggero mi attribuisce frasi mai pronunciate», dice una sua smentita alle agenzie) e, ieri, molti altri. Per tutti loro il Cavaliere «è un leader insostituibile», ma – come ripetono in tanti – «fuori Silvio, senza Marina, noi tutti che fine facciamo?».