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Data: 18/08/2013
Testata giornalistica: Il Messaggero
Spending review, piano da 5 miliardi. Nel mirino sprechi e poltrone delle municipalizzate. Ogni amministrazione dovrà rispettare i fabbisogni standard per far funzione i vari servizi, dalla sanità al trasporto locale

ROMA Ci stanno lavorando da mesi sotto traccia. L’obiettivo è mettere a punto una manovra su tre fronti. Da un lato una «spending review» nuova di zecca. Mirata a tagliare gli sprechi e a evitare, se possibile, sforbiciate lineari. Un intervento ad ampio raggio capace di dare 4-5 miliardi il primo anno, per poi salire gradualmente in quelli successivi. Dall’altro un decreto del Fare bis per incentivare le imprese che acquistano macchinari e assumono giovani. Che va poi di pari passo con un altro piano (il nome è «Destinazione Italia») per attrarre le aziende straniere (anche qui a base di semplificazioni e incentivi fiscali). Nello stesso decreto dovrebbe quindi confluire un altro intervento per sostenere il rilancio dei mutui sulla prima casa: circa 5 miliardi che sarebbero garantiti dalla Cassa Depositi e prestiti. Il terzo step, a cui sta lavorando il ministero delle Infrastrutture, riguarda invece le opere pubbliche, con l’avvio di una road map per spendere i 6,4 miliardi di fondi strutturali europei, destinati altrimenti a tornare a Bruxelles. Insomma, la carne al fuoco non manca. Visto che i tecnici del Tesoro insieme a quelli dello Sviluppo hanno lavorato sodo anche in questi giorni. Le misure sono praticamente già definite, in attesa ovviamente delle scelte politiche. Congelate, almeno fino ad ora, dalle incognite legate ai due nodi chiave: Imu e Iva.
LE PRIORITA’

E’ evidente, spiegano all’Economia, che tutto dipende da come verrà chiusa la partita su questi due fronti. Poi, alla luce delle risorse disponibili, si articolerà la cosiddetta fase due. Non si dovrà comunque fare affidamento sul presunto «tesoretto» dovuto al calo dello spread, semplicemente perchè è del tutto virtuale. Non è invece virtuale il cambio di passo che il governo proverà a fare. Per aggredire la spesa pubblica improduttiva e investire in sviluppo e occupazione. Finora i tagli sono rimasti una chimera se è vero che nel 2013 i «consumi intermedi» della pubblica amministrazione sono aumentati del 35%. Consapevole dei ritardi il ministro Fabrizio Saccomanni vuole cambiare rotta in maniera decisa. Dal Tesoro trapela che la nuova formula della «spending review sarà tutta incentrata sui cosiddetti «fabbisogni standard». Per ogni funzione svolta, dal trasporto pubblico locale fino alla sanità e alle spese per la cancelleria, si calcolerà il fabbisogno reale per far funzionare il servizio. Le amministrazioni o gli enti locali che non rispetteranno questo parametro dovranno tagliare e mettersi in regola. Altrimenti arriveranno pesanti sanzioni. Il tutto sarà, assicurano dall’Economia, «uno dei principi cardini della legge di stabilità». E i risparmi? I calcoli sono in via di elaborazione, ma un prima stima ipotizza, solo per il primo anno, di recuperare circa 4-5 miliardi, esentando soltanto il comparto scuola già falcidiato, ed incidendo però in maniera pesante su ministeri, sanità, servizi comunali, trasporti e una miriade di enti inutili ancora esistenti. Risparmi che, insieme ad una centralizzazione ancora più efficace degli acquisti pubblici, dispiegheranno i propri effetti solo dal 2014.

Nel mirino sprechi e poltrone delle municipalizzate

ROMA Fare cassa tagliando la giungla delle aziende ex municipalizzate. Al ministero dell’Economia ne parlano con estrema cautela. Ma in tempo di spending review e con l’esigenza di ridurre ulteriormente la spesa pubblica (che vale 815 miliardi di euro l’anno), il progetto gira tra i tavoli di Via XX Settembre. Un progetto che si lega alla decisione del governo di abolire le province (cancellate dal 1° luglio 2014 ) e di far nascere 8 nuove città metropolitane. Che si aggiungeranno a Roma. Una rivoluzione amministrativa che viene vista come una opportunità per fare ordine in quell’universo di società in house costoso per le casse dello Stato.
TEMPI STRETTI

Entro sei mesi, lo prevede il decreto del Fare, Comuni e Province dovranno chiudere e poi mettere a gara le proprie società e le partecipate (escluse le quotate in Borsa, come Acea a Roma e A2A a Milano e Brescia) che lavorano con gli enti locali in settori cruciali come acqua, luce, gas, informatica e servizi pubblici. Non tutte, ovviamente. Ma quelle giudicate inutili, in perdita o duplicati di altre società. L’istituto Bruno Leoni ha calcolato in 30 miliardi, se messo sul mercato, il valore potenziale della galassia delle aziende ex-municipalizzate. Si tratta di un portafoglio ampio e in continua espansione (circa 6 mila società) che dà lavoro a 200 mila persone con un costo complessivo di lavoro di 13 miliardi. La proliferazione delle società a partecipazione locale (comunque soggette a cura dimagrante nel 2010 dal governo Berlusconi ) è stata oggetto, nel 2011, di una indagine della Corte dei Conti. Una indagine che si è conclusa auspicando una sforbiciata (anche a base di dismissioni ). Secondo i magistrati contabili, infatti, «la costituzione in società da parte degli enti locali è spesso utilizzata quale strumento per forzare le regole della concorrenza e per eludere i vincoli di finanza pubblica». Sotto accusa, da parte dei togati, i 24 mila membri dei cda delle aziende municipalizzate, 80 mila contando anche revisori dei conti e i consulenti. Per pagarli vengono sborsati in media 62 mila euro l’anno a testa. «Le participate sono il vero cancro degli enti locali – questo l’affondo della Corte dei conti – un passato di cui non ci si riesce a liberare, con incarichi e consulenze dai compensi fuori mercato». Una dura requisitoria. Comprensibile alla luce del fatto che solo il 50% delle aziende, sulla base dei bilanci del 2012, hanno chiuso in attivo distribuendo utili. L’altra metà ha invece chiuso in perdita. E in molti non hanno neppure presentato un bilancio. Si parla di un indebitamento complessivo di 34 miliardi con fenomeni di cattiva gestione che si sono concretizzate, osserva ancora la magistratura contabile «in assunzioni di massa illegittime e clientelari, in consulenze inutili e in sprechi per acquisti di forniture inutili e a prezzi fuori mercato».

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