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Data: 18/08/2013
Testata giornalistica: Il Messaggero
Intervista a Pier Carlo Padoan - Ora all’Unione serve un’ondata di liberalizzazioni

ROMA «Nelle parole del presidente del Consiglio Enrico Letta si può leggere l’esortazione all’Europa affinché si dia una strategia di lungo periodo per la crescita e l’aumento dell’occupazione. Un appello ancora più valido ora che arrivano segnali univoci di uscita dalla recessione». Pier Carlo Padoan, capo economista e vicesegretario generale dell’Ocse, l’organizzazione dei paesi più industrializzati, coglie al volo la sortita del premier italiano per rilanciare la richiesta di riforme ma anche per spiegare cosa fare per non perdere il treno della ripresa.
Professor Padoan, ora cosa dovrebbe fare l’Europa secondo l’Ocse?
«I paesi europei dovrebbero applicare una ricetta un po’ fuori moda: avviare le liberalizzazioni e completare il mercato interno europeo nei settori ancora non esposti alla concorrenza. Il mercato interno europeo dispone ancora di enormi potenzialità di crescita. Questo vale per tutti i paesi, Germania compresa».
E cosa dovrebbe fare l’Italia ora?
«Liberalizzare i servizi pubblici locali e implementare riforme attese da troppo tempo come l’eliminazione delle lungaggini della giustizia civile e dell’inefficienza della pubblica amministrazione».
Basterebbero queste riforme a garantire la ripresa per l’Europa e l’Italia?
«Si può fare ancora di piú. Un forte impulso potrebbe arrivare dalla ripresa dell’integrazione commerciale fra Europa e Nord-America. Anche se non bisogna sottostimare le resistenze di comparti che non vogliono rinunciare ai privilegi».
Gli osservatori non si attendono un ciclo di forte crescita.
«Infatti c’è un problema di fiducia delle imprese. Sarà importante verificare se ci sarà un aumento degli investimenti. Finora l’economia è stata sostenuta dall’export, se ripartono gli investimenti, che sono un segnale di fiducia nel medio lungo-termine, la ripresa si trasformerà da fenomeno ciclico in fattore permanente. Anche se...».
Anche se...
«L’altro pilastro di una ripresa non anemica dipende dalle banche. Nei prossimi mesi, gradualmente, dovrebbero cambiare marcia».
Già ma l’Unione Europea...
«A tutti piacerebbe un’Europa più ”veloce”. Ma proviamo a vedere il bicchiere mezzo pieno. Rispetto al 2010, quando la crisi greca arrivò al pettine, sono stati fatti enormi passi avanti: c’è il fondo di stabilità; la Bce ha steso una rete di protezione; l’unione bancaria sta progredendo».
E l’Italia non è più quella del 2011.
«Si. Nonostante il debito alto, l’Italia può ben dire che la finanza pubblica è sotto controllo».
Il momento di svolta per l’Europa potrebbe arrivare con le elezioni tedesche?
«L’euro è interesse primario anche della Germania. I tedeschi hanno reagito meglio di tutti alla crisi perché hanno varato le riforme, in particolare quella del mercato del lavoro, in anticipo. Detto questo, anche la Germania deve rendersi conto che mentre chiede agli altri Paesi di avviare nuovi aggiustamenti deve avviare, nel suo stesso interesse, quelle liberalizzazioni che consentirebbero di rafforzare le dinamiche del suo mercato interno».
Se la Germania facesse ripartire la sua domanda interna se ne gioverebbero gli altri europei. Giusto?
«Il mercato tedesco ha già registrato uno slancio parziale. Tuttavia, noi all’Ocse pensiamo che sia auspicabile una maggiore simmetria tra gli aggiustamenti delle economie dei Paesi europei, sia quelli in deficit che quelli in surplus di bilancia dei pagamenti».
Come spiega che il Pil italiano ia ancora negativo mentre persino quello portoghese sale?
«L’arretramento italiano è più modesto di quello che si attendeva. Ci aspettiamo il segno più verso la fine dell’anno. Il caso portoghese è interessante perché quel Paese ha fatto riforme profonde ed è diventato più competitivo».

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