La strategia del presidente del Consiglio:
se cado io, gli italiani pagheranno l’Imu
Ciò che conta per Letta sono le dichiarazioni dei capigruppo del Pdl. O del segretario del Pdl - nonché vicepremier - Angelino Alfano, atteso a breve al Meeting ciellino di Rimini. Il fatto che finora nessuno dei tre si sia ufficialmente pronunciato negativamente sul futuro della maggioranza consente al governo di proseguire sia pure tra difficoltà o magari soltanto di rendere «più costoso», come sostiene il montiano Benedetto Della Vedova, il possibile strappo del Pdl.
LETTURE
«Una crisi di governo ora sarebbe da irresponsabili», ha sostenuto tre giorni fa Brunetta ai microfoni del Tg1. Valutazione politica e da economista, quella del capogruppo del Pdl, che per Letta è suonata anche come un avvertimento dato da Brunetta al suo stesso partito, che mai come in queste ore è diviso tra governativi e bramosi di urne. Dal canto suo in queste settimane Letta si tiene fuori non solo dal dibattito interno al suo partito, ma soprattutto dal confronto interno al Pdl tra coloro che sostengono che Berlusconi si difende meglio stando al governo e in maggioranza e coloro che invece vogliono giocarsi la partita delle urne. Se possibile subito o magari candidando a premier Marina Berlusconi qualora si dovesse arrivare a primavera. Letta considera nulli gli spazi d’intervento del governo sul nodo della decadenza del Cavaliere. «L’unico posto dove il governo non siede è proprio nella Giunta per le elezioni del Senato», sottolinea Francesco Sanna, deputato del Pd vicino al premier. Eppure Berlusconi non la pensa così e ieri spiegava ai suoi che «se Letta vuole restare a palazzo Chigi alzi le chiappe e intervenga sulla giunta». L’espressione colorita dell’ex premier è nulla rispetto all’ira che trabocca in ogni conversazione del Cavaliere. Giorgio Napolitano resta il principale obiettivo dei suoi strali, mentre le toghe di Magistratura Democratica, sulle quali si sta attivamente documentando da giorni, sono l’altro punto sul quale picchia duro con toni tra affanno e concitazione ascrivibili anche alle notti insonni che trascorre ad Arcore leggendo solo libri di natura giuridica e tutti gli atti dei convegni di MD.
IL PEGGIO
Ovviamente di cambiare la legge elettorale Berlusconi non ha nessuna intenzione anche perché ai suoi ministri ha dato ordine di «bloccare qualunque provvedimento». La temperatura si va surriscaldando e una conferma esplicita si è avuta ieri, quando Berlusconi ha invitato i militanti di Bellaria di Forza Italia a «prepararsi al meglio» perché ”il peggio“, per un inguaribile ottimista come Berlusconi, non esiste e le campagne elettorali sono state sempre una sorta di gerovital per l’ex premier. Ad Arcore, mentre i suoi legali studiano percorsi di resistenza da attuare in giunta, Berlusconi sta di fatto preparando la campagna elettorale «perché - è convinto - dopo Letta non ci sarà nessun altro governo dal momento che il Pd non si alleerà mai con Grillo».
Quindi l’Imu, di cui si discuterà di nuovo venerdì in Consiglio dei ministri, sarà l’argomento con il quale il Cavaliere pensa di accarezzare le tasche degli italiani, mentre i cuori dovrebbero essere invasi dall’argomento politico di sempre, confermato dal personalissimo destino del Cavaliere stesso. Ovvero la «lotta alle sinistre che non vincono mai con metodi democratici» e che «adesso pensano i governare facendo arrestare il leader del maggior partito italiano». Resta però il fatto che Letta ha spiegato di recente che proprio una crisi di governo impedirebbe la cancellazione dell’Imu per buona parte delle famiglie italiane.
STRAPPO
Mentre si addensano nuvoloni sempre più neri per il governo e nel Pdl aumenta la crepa tra le due anime, il governo si prepara a mettere sul tavolo una serie di provvedimenti che dovrebbero rendere più indigesta la voglia di strappo del Cavaliere e del trio Santanchè, Bondi, Verdini. Berlusconi è però deciso ad investire Letta del problema della sua agibilità politica perché dopo quella «irricevibile» lettera di Napolitano, come l’ha definita ieri la Santanchè, «tocca a lui decidere se vuol restare ancora su quella sedia dove lo ha messo anche Silvio Berlusconi».
Berlusconi non cede e parte la guerra contro Colle e governo. Il Cavaliere ai militanti: io resisto, non vi farò fare brutta figura. Via libera ai falchi, Santanché: non starei un minuto di più col Pd
ROMA Uno. «La nota di Napolitano su Berlusconi per me è irricevibile. E’ come se gli avesse detto: ”mettiti buono che poi ti grazio”, ma Napolitano non può fare l’arbitro e il giocatore. Mi sono pentita di averlo votato, persino Prodi sarebbe stato meglio…». Due. «Il governo? Fosse per me non ci starei un minuto in più, è fatto da gente (il Pd, ndr.) che non è riuscita neppure coi brogli a far fuori Berlusconi e ora si serve di un potere dello Stato (la magistratura, ndr.) per farlo fuori. Letta al Meeting mi ha messo angoscia. Bisogna abolire l’Imu e Letta parla di riforma elettorale che però non si mangia!». Tre. «I nostri cinque ministri al governo? Hanno la faccia di Berlusconi». Parola di Daniela Santanché, detta ”la Pitonessa”, falca per eccellenza del Pdl, che le pronuncia davanti al pubblico benestante della Versiliana, a Marina di Pietrasanta. In pratica è casa sua visto che Forte dei Marmi è il suo buen retiro estivo.
LUOGO E ORA
Luogo e ora sono stati scelti con cura per rompere “un silenzio stampa” che durava, ormai, da ben quattro giorni, ma che – soprattutto – sono stati scelti in pieno accordo e concordia con l’ex premier. Il quale, appunto, ha detto a Daniela: «attacca». Insomma, alea iacta est, il dado è tratto. Per il Cav, diventato «più falco dei falchi» e tornato tonico ed esuberante, governo e maggioranza hanno le ore contate. In verità, la dead line è fissata non al 9 settembre, quando la Giunta Immunità del Senato inizierà solo la discussione sulla decadenza del senatore Silvio Berlusconi, ma quando, nel giro di non più di un mese (non oltre, se il Pd non accetterà meline), voterà l’aula del Senato sulla questione.
Infatti, è in quell’occasione che l’ex premier è intenzionato a tenere un discorso storico (chiuso ad Arcore lo starebbe già scrivendo) e paragonabile solo a quello che Bettino Craxi tenne alla Camera nel 1992. Un discorso tutto sulla malagiustizia, la sua condanna, la necessità di fare vere riforme liberali e un discorso che, però, segnerà inesorabilmente la fine del governo Letta e la corsa verso elezioni anticipate dato che «il Pd mi voterà contro e io li inchioderò alle loro responsabilità, ma di certo non mi dimetterò mai io, da senatore».
Superata la fase cupa e depressiva che lo aveva condotto a rintanarsi a villa Arcore, circondato solo dai suoi affetti più cari (i figli, Marina in testa, la fidanzata Pascale, l’onorevole tuttofare Rossi e, al solito, i due avvocati di fiducia, Coppi e Ghedini), il Cav, dopo aver valutato e soppesato il da farsi, ha deciso che di Napolitano come del Pd «non ci si può fidare» e che non resta che «rilanciare». Le classiche dichiarazioni di giornata, da quelle dei falchi alla Capezzone e Brunetta («Toccano a Letta e Napolitano le decisioni») a quelle rivelatrici («Letta sta lì perché ce l’ha messo Berlusconi», dice il senatore Giuseppe Esposito) sono puro contorno come pure le parole pronunziate dallo stesso Cav nella telefonata notturna ai suoi sostenitori riminesi («Io non mollo, voi avanti con coraggio, prepariamoci al meglio»), considerazioni che dicono tutto e il suo contrario. La verità la dice un ministro pidellino off record: «Silvio ha sguinzagliato i cani. Credo che sia finita per il governo, per noi ministri che abbiamo cercato di lavorare e di portare a casa buoni risultati e pure per le colombe del Pdl».