ROMA Inviato dal Cavaliere a rappresentare direttamente a Enrico Letta il disagio del Pdl sull’agibilità politica del proprio leader, Angelino Alfano ha varcato ieri pomeriggio il portone di palazzo Chigi quando alcune risposte alle questioni che avrebbe sottoposto al premier gli erano già arrivate da Vienna, dove Letta ha tenuto ieri mattina una conferenza stampa. Sull’ipotesi di una crisi di governo sempre più insistentemente ventilata nel quartier generale del Pdl dopo la condanna di Berlusconi, il presidente del Consiglio ha detto che «sarebbe paradossale che l’Italia, dopo aver tenuto duro nel momento più aspro della crisi, ora che c’è la ripresa e cominciamo a vedere la terra promessa, si avvitasse in questioni di politica interna». Osservato che il nostro Paese è davanti a una «grandissima opportunità» rappresentata dal semestre italiano di presidenza della Ue nel 2014, Letta ha detto di «confidare nella responsabilità e lungimiranza di tutti» e di essere convinto che le attuali difficoltà siano superabili».
Il confronto serale durato quasi tre ore tra il premier e il suo vice, alla presenza del ministro Dario Franceschini, ha però messo a dura prova la fiducia ostentata da Letta a Vienna. Il colloquio, definito da fonti vicine a entrambe le parti «franco e in alcuni passaggi anche duro», ha confermato la distanza tra le posizioni dei due interlocutori. Alfano ha subito messo sul tavolo il pomo della discordia tra i due alleati, e cioè che per il Pdl «è inaccettabile che il partner di governo non consideri il tema della non retroattività della legge Severino», da cui dipende la decadenza di Berlusconi da senatore. Il premier, invece, si sarebbe mosso in tutt’altra logica, considerando «sbagliata la sovrapposizione dei temi di governo e della vicenda giudiziaria del Cavaliere», aggiungendo di «non poter dire al Pd di non votare per la decadenza. Sarà la Giunta del Senato a decidere secondo criteri giuridici e non politici. A questo punto - ha detto ancora Letta - sta a voi decidere cosa fare». Alfano avrebbe comunque ribadito la richiesta di una ”soluzione politica“ per Berlusconi, dal momento che «non è possibile restare dentro una coalizione quando un partner fa decadere il leader del partito alleato».
A sdrammatizzare un po’ la situazione che sembrava avvicinarsi al punto di non ritorno è poi venuta una comunicazione di fonte azzurra con la quale si affermava che «il Pdl non ha intenzione di far cadere il governo, che ha fortemente voluto nell’interesse del Paese, ma - si aggiungeva - non va bene a questo fine l’atteggiamento pregiudiziale del Pd». In altre parole, una sorta di parafrasi di una dichiarazione di Renato Brunetta al Tg1, in cui il capogruppo pdl alla Camera diceva: «Grande determinazione a rilanciare l’azione del governo, ma altrettanta determinazione nel risolvere il problema democratico di Berlusconi. Il tutto prima della riunione della Giunta del Senato». A confortare i paladini della continuità di governo, la conferma che il vertice di ieri ha almeno segnato «significativi passi avanti» verso l’intesa su Imu e Iva di cui dovrà occuparsi il Consiglio dei ministri di mercoledì 28.
Per il Pd ha parlato Guglielmo Epifani: «Sarebbe davvero paradossale - per il segretario - che si aprisse una crisi al buio nelle condizioni in cui è l’Italia. Speriamo che nessuno voglia assumersi la responsabilità del tanto peggio tanto meglio». Quanto alla vicenda del Cavaliere, il leader dem ha detto di «non aver cambiato idea: in uno Stato democratico tutti devono soggiacere al principio di legalità. La giustizia deve essere uguale per tutti. Le sentenze - ha aggiunto - possono non piacere ma vanno fatte eseguire. Quella del Pd non è una battaglia contro Berlusconi ma a favore di uno Stato di diritto».
Lite tra Angelino e il premier «Intervieni». «Basta ricatti»
ROMA La sicurezza mista a indifferenza con la quale Enrico Letta ha ascoltato ieri mattina l’affondo del cancelliere austriaco sul Cavaliere («Lo conosco Berlusconi e non è garanzia di stabilità»), dà un po’ la misura dei percorsi paralleli che in questi giorni dividono il governo dalle contorsioni del secondo partito di maggioranza. E poiché Angelino Alfano, oltre che segretario del Pdl, è anche vicepremier, è servita ieri tutta l’enfasi dei falchi di via dell’Umiltà per caricare di decisiva e risolutiva importanza il summit tra due che a palazzo Chigi hanno l’ufficio sullo stesso piano e che non poteva non concludersi così come era iniziato. Ovvero con Letta che dice di «non accettare ricatti e ultimatum» e Alfano che annuncia l’uscita del Pdl dalla maggioranza se il Pd in Giunta al Senato non permetterà la sospensione del voto di decadenza di Berlusconi in attesa di un possibile ricorso alla Corte Costituzionale.
A dispetto dei toni ultimativi, dei discorsi e dei messaggi da “fine del mondo” annunciati, l’incontro tra i due è stato teso ma senza rottura. Con Alfano che non ha potuto che ripetere come il governo rischi se il Pdl dovesse fare i conti con il proprio leader fuori dal Parlamento e Letta fermo nel sostenere quanto spiegato nei due giorni trascorsi a Vienna. Ovvero che «il governo sta in piedi sino a quando avrà la fiducia delle Camere e del Quirinale» e che «una crisi rischia di compromettere gli sforzi fatti dagli italiani», di cui il Pdl se ne assumerebbe «la responsabilità».
Il quadro fatto da Alfano sulle ambasce del Cavaliere era più o meno già noto a Letta: «Non dorme la notte», «considera un’onta finire agli arresti la sua carriera», «rischia di diventare un problema anche se fuori dal Parlamento, perché terrebbe in tensione buona parte del partito e della maggioranza». Scenari ultimativi Alfano non ne avrebbe fatti, se non quello evocato da Osvaldo Napoli, sulla necessità - da parte del Pd - di concedere in Giunta una sospensione del voto sulla decadenza in modo da permettere alla Consulta di esprimersi sull’applicabilità della legge-Severino. «Se invece il Pd in Giunta si comporterà come un ottuso plotone d’esecuzione senza permettere gli approfondimenti sulla retroattività, non potremo stare in maggioranza un minuto di più», ha spiegato Alfano. Questioni e ipotesi che Letta non ha voluto nemmeno prendere in considerazione, condividendo con il suo vice l’incompetenza del governo su una vicenda tutta parlamentare. Come dire che se Alfano intende porre questa questione come segretario del Pdl, dovrà recarsi a largo del Nazareno per parlare con Epifani.
EQUILIBRIO DIFFICILE
In un difficile equilibrio tra le due diverse anime che agitano il Pdl, il segretario ha comunque posto a Letta il problema politico nell’incontro, la cui durata è stata spesa tutta a sottolineatura dell’attenzione con cui il premier e il suo vice hanno analizzato la faccenda, sia pur rimanendo ognuno sulle proprie posizioni. Quasi tre ore di faccia a faccia al termine del quale si è anche discusso di Iva, Imu e legge elettorale, con la richiesta del segretario del Pdl di un impegno - da parte di Letta - a non procedere a nessuna intesa senza il consenso dell’alleato. Richiesta, questa, che sembrerebbe inusuale qualora il Pdl dovesse decidere di rompere e ancor più paradossale se invece dovesse rimanere organicamente in maggioranza, ma che invece potrebbe aprire la strada a una terza opzione. Ovvero - in caso di decadenza del Cav, preso atto, come ieri ha fatto anche Alfano, della tenacia con la quale il capo dello Stato non intende sciogliere le Camere prima di una riforma elettorale - permettere al governo di andare avanti anche senza i ministri Pdl e cercando di volta in volta i numeri in aula. Se non è il governo di minoranza che cercava Bersani, poco ci manca, ma ieri sera Alfano non aveva il mandato di andare oltre il vertice di Arcore del giorno prima. Il rischio di ritrovarsi all’opposizione, e con un governo sostenuto da una pattuglia di transfughi grillini, preoccupa anche Berlusconi e la soluzione prospettata ieri sera potrebbe rappresentare la via d’uscita che permetterebbe a Berlusconi di tenere un piede dentro l’esecutivo mentre sconterà la pena, consentendo a Letta di restare al suo posto per affrontare i problemi economici del Paese.