Iscriviti OnLine
 

Pescara, 16/05/2025
Visitatore n. 743.963



Data: 23/08/2013
Testata giornalistica: Il Messaggero
Verso la crisi di governo - Governo, Pdl e Pd ai ferri corti «No alla decadenza». Berlusconi chiude alle colombe «Basta mediazioni, voglio solo le urne»

ROMA Sulla ”agibilità politica“ di Silvio Berlusconi, le posizioni di Pdl e Pd sono sempre più distanti. O sempre più vicine, se si guarda ai due partiti alleati al governo ma ormai impegnati in un corpo a corpo senza esclusione di colpi. La prima mossa l’ha fatta ieri dal Meeting di Cl Angelino Alfano, chiedendo al Pd di riflettere, «astraendosi dalla storica inimicizia di questi vent’anni, sull’opportunità di votare no alla decadenza di Berlusconi». Il vicepremier ha precisato di «non chiedere al Pd un gesto e un voto a favore di Berlusconi, ma di non dare un voto ”contra personam“ al loro nemico storico». La richiesta concreta del Pdl resta quella di un «approfondimento» in Giunta Senato sulla legge Severino la cui applicazione porterebbe alla decadenza del Cavaliere. La linea del segretario è stata accompagnata da una serie di interventi di esponenti azzurri, da Schifani a Gasparri a Capezzone, che con argomenti anche più spicci di quelli usati da Alfano hanno fatto balenare l’impossibilità di avere nel prossimo futuro un Cavaliere disarcionato e un governo ancora in sella. A tutti ha replicato senza peli sulla lingua il ministro dei Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini: «Alle minacce e agli ultimatum basta rispondere con un principio molto semplice: non si barattano legalità e rispetto delle regole con la durata di un governo. Mai». Ed essendo il Pd un partito piuttosto variegato, a dimostrazione che su questo terreno non ci sono spiragli di trattativa, a puntello della dichiarazione di Franceschini, è venuta anche quella di un altro ministro, ma renziano come Graziano Delrio, che, sempre al Meeting di Rimini, ha affermato: «Su Berlusconi mi ritrovo su quanto detto Epifani. Non mi pare che il Pd possa far altro che prendere atto della sentenza e quindi votarne la decadenza. Non c’è altra soluzione».
Uno solo sembra essere il terreno su cui il Pd concede qualcosa al Cavaliere: «Il diritto - dice Luciano Violante - a difendersi come qualunque altro cittadino». E Berlusconi lo fa, tra l’altro, con in un’intervista a ”Tempi“. Dopo aver definito quella della Cassazione «una sentenza infondata, ingiusta, addirittura incredibile», l’ex premier, interrogato circa le ricadute sul governo di una sua esclusione dal Parlamento, osserva: «Diranno che è colpa mia se i ministri del Pdl, davanti al massacro giudiziario del loro leader, valuteranno le dimissioni. Ma io mi domando: se due amici sono in barca e uno dei due butta l’altro a mare, di chi è la colpa se poi la barca sbanda». Affermato che, comunque vadano le cose, non potranno togliergli «tre cose: il diritto alla parola sulla scena pubblica; il diritto di guidare il movimento politico che ho fondato; il diritto di essere ancora il riferimento per milioni di italiani», il Cavaliere trae così le conclusioni dalla propria vicenda: «Siamo all’epilogo di quella guerra dei vent’anni che i magistrati di sinistra hanno condotto contro di me, considerato l’ostacolo da eliminare per garantire alla sinistra la presa definitiva del potere».
La replica dell’Anm non si è fatta attendere. I suoi vertici, dal presidente Sabelli al segretario Carbone, in una nota denunciano «il susseguirsi di articoli e servizi tv contenenti gravi offese a singoli magistrati e inaccettabili attacchi all’intero ordine giudiziario, giunti fino alla redazione di elenchi di magistrati che evocano liste di proscrizione, assumendo le caratteristiche di un vero e proprio linciaggio mediatico».
In una maggioranza ai ferri corti e con le sorti del governo sempre più in bilico, si leva la voce del segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa, che invita «Pd e Pdl a tralasciare il reciproco gioco del cerino e a far invece prevalere la loro vocazione governativa».

Berlusconi chiude alle colombe «Basta mediazioni, voglio solo le urne» Vertice con Alfano che non convince il Cavaliere sulla trattativa. Il leader chiama uno a uno i governisti: Letta e il Pd ci spingono fuori

«Lo volete capire o no che il Pd e pure Letta vogliono solo darmi la colpa di far cadere il governo?». Silvio Berlusconi si sfoga con le colombe e i governisti. La sua linea è chiara: «Il Pd e il premier si devono prendere le loro responsabilità. Se ritireremo i ministri e il governo cadrà sarà per colpa loro e di Napolitano che non hanno voluto trovare una soluzione. Voi preparatevi perché dovete essere pronti a tutto. Alle elezioni e anche alla possibilità che facciano un governo contro di noi. Andremo all’opposizione? Va bene, ma le prossime elezioni le vinciamo noi». Magari non direttamente ad Angelino Alfano, che è andato a trovarlo ieri sera ad Arcore (dopo aver passato una intera giornata al Meeting di Cl), ma a tutti i suoi interlocutori che lo hanno sentito, il Cavaliere, ormai, non dice che parole di tale tenore. E ha convocato per sabato ad Arcore un vertice dell’intero stato maggiore. Ci saranno Alfano, Lupi, Gelmini, Cicchitto, Schifani (colombe), Verdini e Santanché (falchi), forse ci sarà pure Gianni Letta, mentre è sicura la presenza della figlia Marina, che però il Cav vuole tenere al riparo dall’agone politico («è una leonessa, ma non scenderà in campo), sicuro di potersi ricandidare, da uomo libero o semi-libero come sarà ancora per qualche mese.
Il vertice, infatti, si profila preparatorio di una crisi di governo e forse di un voto che - i falchi assicurano - potrebbe ancora arrivare entro l’anno, sfruttando l’ultima finestra utile per modificare la legge elettorale, sciogliere le Camere e votare (il 24 novembre). Insomma, «Silvio è un fiume in piena», dicono i fedelissimi. Ma anche un falco temperato, come Ignazio Abrignani, responsabile elettorale del Pdl, avverte con identico spirito bellicoso: «La dead line è il 9 settembre, quando si riunirà la Giunta. Se il Pd voterà per la decadenza, quella per noi sarà come quando il 10 giugno del 1940 Mussolini si affacciò dal balcone e disse: la dichiarazione di guerra è stata consegnata». La verità è che la linea è tracciata, l’aratro deve solo seguire il solco. Per capirsi, i “ministeriali”, colombe per eccellenza, devono dare prova di cieca e assoluta fedeltà.
LE POSIZIONI

L'altro giorno ha parlato Nunzia De Girolamo, smentendo ogni voce su loro paventati tradimenti, e ieri ha rotto un silenzio che, su temi politici, durava da mesi, Beatrice Lorenzin: «Il Pd sapeva benissimo con chi andava a formare un governo per fare il bene del Paese, ora non può far finta di nulla». Il guaio è che quel «più fatti e meno parole» che la Lorenzin ancora si augura che arrivino dal Pd, ormai sta a zero, sibilano i falchi. A finire sul banco degli imputati, però, non sono, come si potrebbe credere dai diverbi ormai quotidiani che la Santanché scatena via twitter un giorno con Gasparri e un giorno con Cicchitto, le colombe del Pdl, ma oltre a Napolitano, Letta e il Pd, proprio quelli che i falchi considerano dei veri e propri nemici in casa: i ciellini pidellini (Lupi, Vignali, e altri) e il ministro Gaetano Quagliariello. L’unico che, dal suo buen retiro in un trullo pugliese, sta ancora studiando le soluzioni teoricamente possibili per trovare una via d’uscita che eviti la crisi del governo Letta. Via d’uscita che appare, ormai, lontanissima.

www.filtabruzzo.it ~ cgil@filtabruzzo.it