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Data: 23/08/2013
Testata giornalistica: Il Centro
Berlusconi: se cado il governo va a casa. Chiede una «soluzione» e annuncia: Marina non mi sostituirà

ROMA L’ultima raffica è stata affidata a Luigi Amicone, direttore del settimanale ciellino «Nuovi Tempi» che lo aveva definito «il Che Guevara della libertà». Silvio Berlusconi in un’intervista al periodico cattolico manda un nuovo messaggio ai democratici: se il Pd mi butta a mare il governo cade, suggerendo una soluzione giuridico-istituzionale, una «scorciatoia». Berlusconi non nasconde di essere un leader in difficoltà, costretto a un disperato appello proprio agli alleati-nemici democratici, un tempo definiti «comunisti». Il Pd però gli ricorda (lo ha fatto anche ieri con Delrio) che le sentenze si rispettano e il Pdl ribatte chiedendo proprio ai democratici di salvare il loro leader per evitare la fine anticipata della collaborazione di governo. Ma con molti distinguo. Berlusconi nell’intervista ha alzato ancora i toni e lanciato la palla nel campo democratico in vista del pronunciamento della giunta del Senato, fissata il 9 settembre. Si è anzitutto difeso dalla condanna definitiva per frode fiscale, affermando che si tratta di una «sentenza infondata, ingiusta, addirittura incredibile». Mentre «l’esercito di Silvio» continuava a paragonarlo «a Gandhi, Yulia Tymoshenko, Nelson Mandela, Recep Tayyip Erdogan, Václav Havel, Caio Giulio Cesare, i partigiani» ha provato a indicare una strada per evitare la decadenza: «La Costituzione e il buon senso offrono molte strade. Se avessi voglia di sorridere, potrei dire che non possono non saperlo: vale per tutti gli attori politici e istituzionali». Potrebbe significare che non è escluso una nuova tirata di giacca al presidente Napolitano che, pure, aveva già spiegato che strada dovesse seguire il Cav: chiedere la grazia. Ma potrebbe anche significare un riferimento all’Alta Corte che vorrebbero chiamare a pronunciarsi sulla questione della retroattività. Nel frattempo Berlusconi studia strategia e tattica immediata. Da oggi al 9 settembre molte cose possono accadere. E ieri ne ha parlato in un vertice con Alfano. La giunta del Senato è governata da una maggioranza ostile che voterà per la sua decadenza. Dopo il «penultimatum» di Alfano a Letta, conclusosi con uno scambio di comunicati in stile doroteo, Berlusconi insiste: comunque vadano le cose «possono farmi di tutto, ma non possono togliermi tre cose: il diritto di animare e guidare il movimento politico che ho fondato; il diritto di essere ancora il riferimento per milioni di italiani, finché questi cittadini liberamente lo vorranno». E, terzo punto, la conferma che non sarà nemmeno Marina a toglierli questo ruolo di leader: lei è stata «una leonessa» ma «sono assolutamente sicuro che non scenderà in campo». Fin qui le valutazioni dell’ex premier. Quello che non è ancora chiaro è cosa faranno i «suoi» ministri. Per ora lancia un nuovo avvertimento tramite metafora a Letta (il secondo in pochi giorni): «Diranno che è colpa mia se i ministri del Pdl valuteranno le dimissioni davanti al massacro giudiziario del loro leader eletto da milioni di italiani». Circondato dai suoi legali intanto prepara il discorso da fare al Senato per lanciare l’ultimo attacco alla magistratura. Nell’intervista spiega che «è in gioco molto più che il destino di una persona: se si trattasse solo di questo allora sarebbe un problema solo per me. Siamo all’epilogo di quella guerra dei vent’anni che i magistrati di sinistra hanno condotto contro di me, considerato l’ostacolo da eliminare per garantire alla sinistra la presa definitiva del potere». Dunque ripete lo schema della discesa in campo del 1994. Cosa fare in queste tre settimane che mancano alla riunione della giunta? La prima strada la indica Renato Brunetta che definendo la legge Severino «incostituzionale» chiede un pronunciamento della Consulta. Che produrrebbe un ulteriore rinvio. Più politico Alfano che ieri è tornato a martellare sul Pd: «Noi chiediamo molto chiaramente che il Pd rifletta sulla storica inimicizia di questi vent’anni e rifletta sull’opportunità di votare no alla decadenza di Berlusconi». Alfano afferma di essere «molto preoccupato» dal «giudizio preventivo del Pd» e chiede ai democratici pertanto di non dare un voto «contra personam». Schifani, tornato colomba dopo le critiche al Capo dello Stato, ammette che il Pdl «non intende staccare la spina» soprattutto «alla vigilia di provvedimenti importantti su Imu e Iva che sono il nostro cavallo di battaglia». Ma il Pd non sia «pregiudiziale».


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