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Data: 26/08/2013
Testata giornalistica: Il Messaggero
La guerra dei berluscones processo alla “pitonessa”

Conflitto aperto tra falchi e colombe ma nessuno ha trovato l’exit strategy. Santanchè attacca i governisti. La reazione: così spacchi il partito

Questa «Zattera della Medusa» azzurra in cui tutti aggrappandosi all’unità e alla condivisione del destino («Siamo uniti intorno a Silvio Berlusconi», parola di Capezzone) s’azzuffano nella guerra delle dichiarazioni, litigano e si dilaniano come neanche il Pd (Mara Carfagna: «Non lasciamoci sopraffare dalla sindrome divisivo-compulsiva tipica del Pd») in una comune, questa sì, paura del baratro capace di produrre quella che l’ex ministro Sacconi definisce addirittura una reciproca, vicendevole e incrociata «incompatibilità umana e politica».
PENSIERI E PAROLE

Eccolo il Pdl, non più Pdl e non ancora Forza Italia, nel quale basta un’intervista di Daniela la Pitonessa (titolo: «Noi falchi abbiamo vinto». Ma nel testo queste parole non ci sono), per eccitare oltremodo gli animi e scatenare un putiferio. Intorno alla titolarità delle chiavi del cuore del Cavaliere, che se le disputano i falchi e vorrebbero conquistarsele le colombe, ma i primi sembrano averle in tasca per il momento e non nascondono la soddisfazione per il trofeo raggiunto. Una guerra così, in presenza di una situazione italiana che, ben oltre il teatrino della politica e la fiera delle rivalità di partito, ha qualcosa di tragico che riguarda il Pdl e dunque, più in generale, i destini del Paese. Perché la creatura berlusconiana ha due linee opposte in gara. Una è quella della guerra subito, e cada Letta, si vada al voto («Al voto non ci si va», recita un vecchio adagio del nemico Prodi: «Ci si precipita») e dal bunker uscirà Super-Silvio di nuovo vincitore nell’unico giudizio che conta e che non è quello dei giudici «comunisti» o vernacolari come Esposito ma della sovranità del popolo elettore. L’altra linea è quella del tentare tutto il tentabile per salvare sia Berlusconi sia il governo. Ma probabilmente nessuna delle due opzioni ha una soluzione realizzabile. Chi vuole andare alle elezioni non è sicuro che le elezioni ci saranno (anche se la Santanché invece insiste: «Come si fa a non arrivare al voto, se il voto lo vogliono i tre grandi partiti: Grillo, Berlusconi e anche Letta per salvarsi da Renzi?») e chi vuole andare alla trattativa non sa bene con chi trattare. Perché Napolitano si attiene al suo ruolo costituzionale da arbitro, il premier non dà sponde sulla decadenza del leader azzurro e il Pd almeno per ora è compatto nell’affossamento del Cavaliere per paura di essere divorato elettoralmente da Grillo e al massimo potrebbe concedere di allungare ma neanche tanto il brodo delle procedure della decadenza parlamentare di Silvio. Come se ne esce?
Per ora, lo spettacolo che copre e insieme disvela il dramma nazionale è appunto quello della balcanizzazione della balena azzurra, la quale si muove su quella sottile linea d’ombra tra la vita e la morte politica del Cavaliere. In un contesto così, tra muscolarismo e crepuscolarismo, tra ministri colombe inibiti («Se difendiamo troppo il governo, i falchi ci accusano di voler tenere il sedere al caldo sulla poltrona») e incursioni distruttive dall’esterno (Storace: «Ora litigano sulla Santanchè. Fra qualche giorno la divisione nel Pdl sarà tra chi molla Berlusconi per primo. Forza Vinavil»), l’areggeme che t’areggo, come si dice a Roma, potrebbe essere quel cemento che evita il crollo del Pdl e invece accade l’opposto. Verdini e Cicchitto, al grido «sei un provocatore!», «no, il provocatore sei tu!», vengono quasi alle mani nel salotto di Villa San Martino e le colombe chiamano «pazzi» (e «apprendisti stregoni») i falchi e i falchi chiamano «furbi» le colombe e «il più furbo di tutti», sentenzia Dany la Pitonessa, è Alfano. «Ha capito che aria tirava ad Arcore, e si è subito riallineato», ha detto Santanchè. E tutti giù ad attaccarla, mentre lei un po’ minimizza («Se mi attaccano, pazienza») e un po’ trasecola: «Alfano, Sacconi, Schifani, Cicchitto le ritengo tutte persone capaci e brave e di loro vedo solo la parte migliore. Io non polemizzo con nessuno. Non siamo un partito diviso, siamo un partito coeso. La dimostrazione? Il documento di Alfano dopo il vertice ad Arcore l’ho condiviso io e lo abbiamo condiviso tutti. Che poi per arrivare a quel documento ci siano stati percorsi diversi e diverse sensibilità è innegabile. E qui sta la grandezza di un partito grande come il nostro. Che ha il vantaggio di avere un leader che rappresenta la sintesi».
Il particolare non ininfluente è che Berlusconi considera la Pitonessa una fuoriclasse («E’ una top player», l’ha definita l’altro giorno parlando con una colomba, che ha risposto masticando amaro) ma ieri il fuoco su Dany è stato scandito così: «I cattivi consiglieri non aiutano il Cavaliere» (Maurizio Sacconi), «Parlare di vincitori e vinti nel vertice di Arcore non è solo falso ma desta sconcerto sul piano politico e delle relazioni umane» (Renato Schifani), «Fa danno chi gioca a fare il primo della class» (Maurizio Gasparri), «Disdicevole che qualcuno, alla ricerca di visibilità, cerca di dividere il partito» (Altero Matteoli) e via dicendo. Ma si fa quadrato da parte di Capezzone, di Prestigiacomo («Daniela ha ragione sulla linea da seguire», che è quella del non si può stare al governo con «i carnefici» di Silvio), di Bondi, di Miccichè e del resto della falange dei duri più duri, pronti a esibire sulle piazze della campagna elettorale una nuova Madonna pellegrina nelle vesti di Silvio Martire. La situazione è quella che è. Prendiamo l’ex capo dei deputati, Fabrizio Cicchitto, e l’attuale capogruppo berlusconiano a Montecitorio, Renato Brunetta. Il primo: «La crisi non è l’unica strada». Il secondo: «Se il Pd vota la decadenza, si aprirà la crisi e l’avranno aperta loro».
IL QUIRINALE

Per non dire del giudizio su Napolitano che è un’altra, forse la principale, discriminate tra falchi e colombe. Il falco Silvio è all’attacco, con Verdini appollaiato su un’ala e Santanchè svettante sull’altra: «Abbiamo fatti i responsabili da quando mi sono dimesso da premier, e in cambio non abbiamo ottenuto niente dal Colle». E Bondi conferma, non arrivando a dare a Napolitano del cerchiobottista («Ponzio Pilato è Letta!», giura Capezzone) ma dedicandogli queste parole: «Dal Quirinale ci attendiamo lungimiranza e coraggio, che abbiamo rilevato solo parzialmente». L’opposto del ”napolitanismo” di uno come Quagliariello: «Adesso, grazie a Napolitano, in lontananza si riesce a vedere un obiettivo», aveva detto dopo l’esternazione del presidente il 13 agosto. Ma Bondi: «Non mi farò chiudere la bocca da nessuno. Nemmeno dal Quirinale». Quello stesso Colle nei confronti del quale - parola di colomba, Mariastella Gelmini - non c’è alcuna intenzione di fare indebite pressioni». Quale linea vincerà? E chi lo sa. Perchè questa non è una classica crisi «al buio», per usare il lessico della Prima Repubblica. Ma un buco nero.

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