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Data: 06/09/2013
Testata giornalistica: Il Messaggero
Operazione neoresponsabili: in Senato è caccia a 14 voti. In vista di una possibile crisi occhi puntati su grillini e colombe deluse

«Traditore a miaaaa?!» (detto con accento siciliano). La scena è quella della riunione dei senatori del Pdl dell’altro giorno. E la sfilata è quella dei peones azzurri ma c’è chi, nel loro stesso partito, li ha soprannominati ironicamente «i sanfedisti». Un po’ come quelli del 1799 che, al seguito del cardinale Ruffo, andarono all’assalto dei giacobini (ora impersonati da chi vuole far decadere Berlusconi) cantando il loro inno (adesso rivolto a Berlusconi): «Maestà, chi t’ha tradito? / Chisto stommaco chi ha avuto?». Ecco, nella sindrome da tradimento che impazza al Senato nelle fila dei berluscones, e che ha messo nel mirino tanti sudisti, l’excusatio non petita («Io? Giammai?») è la nuova versione del «Meno male che Silvio c’è». Ma una cosa è cantare l’inno di fedeltà, un’altra è sapere che se Berlusconi fa la crisi di governo c’è sempre un Letta bis cui aggrapparsi, per non tornare a casa e perdere per sempre il posto a Palazzo Madama.
MIMMO RE DEI PEONES

I nomi circolanti dei Nuovi Responsabili (tra cui spicca l’habitué Domenico Scilipoti: «Senza riforma elettorale e senza grandi riforme il voto non cambierebbe nulla. Servirebbe la Politica con la P maiuscola») naturalmente sono spesso fantasiosi, supposti, aleatori, puntualmente smentiti da chi finisce nel tritacarne delle indiscrezioni o delle balle e sempre precari perchè ci sono i recuperati e i recuperatissimi (Pietro Langella nella prima categoria, Vincenzo D’Anna nella seconda) ovvero quelli che avevano fatto un pensierino a non morire per B. ma poi si sono ricreduti o si stanno ricredendo. «Io - dice il sempre cossighiano Paolo Naccarato, del gruppo Gal, dieci senatori di centrodestra alcuni dei quali considerati a rischio fronda - non la metterei in maniera così da Grand Guignol. Ricordo che Cossiga mi diceva sempre che Berlusconi non va sottovalutato, perché non è un dilettante ma uomo di Stato. Quindi, scommetto che la crisi non la farà». Però? «Se proprio vuole trovare un però, le dico che non esiste al mondo nessun Parlamento dentro il quale piaccia, a chi lo abita, di essere rimandato a casa dopo sette mesi». Fanno parte di questa categoria senatori sudisti come Antonio Milo e Ciro Falanga di Torre Annunziata i quali, insieme all’avellinese Cosimo Sibilia, erano assenti alla riunione-giuramento del Pdl dell’altro giorno? Il coro degli indignados dell’«io tradire? mai!» accomuna oltre ai suddetti anche il catanese Pippo Torrisi (democristiano di lungo corso), il Pippo Pagano di Giarre (Sicilia) che pure invita a «non mostrare i muscoli e bisogna invece essere responsabili», Giuseppe Ruvolo e Francesco Scoma.
Sia come sia, nel Palazzo Madama di nuovo frontiera della crisi o della stabilità, si favoleggia della doppia lista: la black list nelle mani del super-falco Verdini (su cui sarebbero appuntati i cognomi di dieci senatori non del Pdl ma di area, pronti a letteggiare bis) e la white list che, si narra, sarebbe già sulla scrivania di Enrico Letta e conterrebbe venti nomi di parlamentari azzurri disposti a sostenere un governo deberlusconizzato. Un esecutivo, eventuale (anche se il saggio Naccarato insiste: «Non vi scaldate troppo»), cui i bookmaker irlandesi (gli unici a quotare queste nostre cose) danno altre probabilità, mentre scartano quasi il ritorno alle urne (lo danno a 11,00).
PALLOTTOLIERE

Il Cavaliere telefona ai suoi emissari in Senato e gli fa: «Posso stare tranquillo?». «Ma certo, presidente, siamo una falange compatta». Però i numeri escludono qualsiasi vera tranquillità. Perche basta poco, a Letta, quando e se si presenterà in Senato dicendo «e ora sfiduciatemi», per succedere a se stesso. L’attuale maggioranza è di 239 voti. Più i 5 senatori a vita (Ciampi più i quattro appena nominati: Abbado, Cattaneo, Piano, Rubbia) si arriva a 244. Meno i 101 del Pdl (ne ha 91) e del Gal (ne ha 10) si scende a 143. Il quorum è 161. Per arrivare da 143 a 161 servono 18 voti. Che sono 14 se entrano in maggioranza i quattro senatori grillini fuoriusciti: Gambaro, Antinori, De Pin e Mastrangeli. Che più o meno parlano tutti come fa quest’ultimo, l’onorevole a 5 Stelle radiato per colpa di una comparsata da Barbara D’Urso: «Voterei il Letta bis, se la gente mi chiedesse di farlo». Un mood simile a quello di Luis Orelliana (su cui s’è abbattuta la fatwa di Beppe: «E’ uno Scilipoti») e la situazione è in movimento per tutti. I grillini in possibile uscita sono 15 (come assicura l’eurodeputata Sonia Alfano), 30 (parola della democrat Alessandra Moretti), 19 o appena 7? Ma sette sono già la metà di 14 e altri 7 neo-responsabili nel centrodestra si trovano al volo per una nuova maggioranza.
I PRECEDENTI

Renato Schifani non appare intimorito: «Un governo con pezzi di gruppi parlamentari o pezzi di partito che ora stanno all’opposizione - spiega il capogruppo dei senatori del Pdl - mancherebbe di coesione politica. Troverei difficile che possano trovare una maggioranza, seppur risicata, su legge elettorale e legge finanziaria». Forse è così. E comunque, per un falco categoria plus qual è Augusto Minzolini, valgono i precedenti: «Mettere insieme tutti? Queste operazioni finiscono male. Ricordate Fini? E D’Alema che fece il ribaltone e poi perse le elezioni?». In ogni caso, adesso, non c’è nel Pd una persona incaricata da Letta, o autonominatasi traghettatore, che guida l’operazione di reclutamento. Senatori democrat autorevoli, e ascoltati presso i colleghi degli altri partiti, ce ne sono svariati, basti pensare a Nicola Latorre. Ma più che altro, è il lavorio dei senatori del Pd nelle commissioni, lì dove ci si conosce meglio e ci si frequenta di più, l’arma di persuasione che ha il rumore del tam tam. Naturalmente, i democrat che buttano ami nel centrodestra si concentrano non sui pidiellini doc, fedelissimi a Silvio, ma su quelli provenienti da partitini collaterali e quelli che navigano a vista (chi li ricandida più?) nel Gruppo misto anche detto Fritto misto. Spesso si tratta di novizi o di avventizi, di quelli eletti a sorpresa grazie al fatto che il centrodestra alle elezioni - specialmente al Sud - è andato meglio del previsto, di quelli che hanno già qualche legislatura di troppo alle spalle e Forza Italia due non vuole Matusalemme, di quelli a cui il berlusconismo glamour-combat stile Santanchè poco si addice. Ma proprio l’insistenza con cui Daniela la Pitonessa sta sottolineando la forza persuasiva del video-messaggio confezionato dal Cavaliere, e in procinto di essere trasmesso a reti Mediaset unificate, serve anche a fermare possibili defezioni dal basso e a ristabilire l’ordine a Palazzo Madama. E ci starebbe bene, come colonna sonora dell’appello di Silvio, proprio l’antica canzone dei sanfedisti: «E vualà e vualà / cavece ’n culo alla libbertà».

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